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Armenia - 108° anniversario di un genocidio senza fine


Letizia Leonardi (Assadakah News Agency) - Il 24 aprile di ogni anno è un giorno triste per gli armeni e di tutti coloro che amano questo glorioso e martoriato popolo. Un dolore che si rinnova da 108 anni e che non ha fine. per due motivi. Il primo perché la Turchia, il Paese che ha compiuto il genocidio del 1915, non lo ha ancora riconosciuto. Non ha ancora voluto fare i conti con la sua pagina nera della storia. Un dolore, per ogni armeno, che si ripete perché l’ultimo atto di un genocidio è la sua negazione. Il secondo motivo è perché in Nagorno Karabakh, si rischia, dal 12 dicembre dello scorso anno, un altro genocidio, ancora come nel 1915, nella totale indifferenza del mondo. Ma se il governo italiano non spende una parola per il genocidio del passato e quello che si rischia nel presente, Associazioni, Comunità Armene e singoli cittadini hanno organizzato in diverse città italiane eventi per commemorare il massacro degli armeni perpetrato dai Giovani Turchi durante la Prima Guerra Mondiale. A Roma, Venezia, Bari, Milano, Reggio Calabria, Napoli. Fano, Padova, Lido di Venezia, Cava de' Tirreni e Torino hanno ricordato e ricorderanno il 108° anniversario del Genocidio Armeno con diversi eventi per non dimenticare i martiri del genocidio. Nella vicenda tragica del genocidio armeno del 1915, ciò che colpisce non è solo l’entità delle vittime, circa un milione e mezzo su due milioni di armeni che risiedevano nell’impero ottomano, e non è nemmeno l’ostinazione con la quale la Turchia ha negato questo massacro, ma sono le storie che si celano dietro la storia di un popolo sterminato. Perché dietro alle morti ci sono i vivi. Dietro la grande storia ci sono le storie dei sopravvissuti. Storie tragiche che si ripetono. Quello degli armeni non è stata solo l’eliminazione fisica di un milione e mezzo di persone ma anche un genocidio che ha dato vita ad una grande diaspora. Le persone che ne hanno avuto la possibilità sono state costrette a fuggire, a lasciare la propria terra, le proprie case per disperdersi nel mondo. Un dolore, quello degli armeni, che appartiene al passato ma anche al presente perché ci sono gli stessi nemici da affrontare, dai quali difendersi e facendo i conti con una indifferenza del mondo intero che, anche questa dopo 108 anni, fa orrore. Quello degli armeni poi non è stato solamente lo sterminio di un popolo, ma anche un genocidio culturale. Non solo gli armeni dovevano sparire dalla faccia della terra ma anche tutto ciò che potesse ricordarli: monumenti, monasteri, i luoghi di vita, sono stati quasi tutti cancellati dalle carte geografiche durante il genocidio del 1915. La stessa cosa, dal 2020, si sta ripetendo in Artsakh – Nagorno Karabakh per opera degli azeri. E possiamo anche aggiungere che il massacro del 1915 è stato il punto di arrivo di una serie che ha avuto il solo scopo di indebolire il popolo armeno, fino al suo sterminio. Ricordiamo i massacri organizzati dal sultano Abdul Hamid II alla fine del XIX secolo 1894-97 che hanno fatto 300 mila vittime e quello di Adana con i 30 mila armeni trucidati.

Il Genocidio degli armeni durante la Prima Guerra Mondiale, il primo del XX secolo, è stato di una brutalità unica. È stato soprattutto a sfondo nazionalistico-religioso. Nazionalistico perché lo slogan dei giovani turchi nel 1914 era “La Turchia ai turchi” quindi ogni armeno ucciso rappresentava la difesa del confine. Religioso perché gli armeni erano cristiani, considerati popolo di infedeli, popolo di serie b in confronto agli islamici. Cacciati all’improvviso dalla loro terra, dalle proprie case, gli armeni, sono stati e portati a morire nel deserto in una lunga marcia della morte. A gennaio del 1915 i soldati armeni dell’esercito ottomano furono disarmati e uccisi, molti dei quali dovettero scavarsi le fosse che avrebbero accolto i propri corpi. Così uomini giovani e forti, che avrebbero potuto difendere il resto della popolazione, furono eliminati. Poi, il 24 aprile dello stesso anno fu la volta dell’élite armena di Istanbul. Scrittori, politici, giornalisti, professionisti, tutti coloro che potevano far sapere al mondo cosa stava succedendo agli armeni dell’Impero Ottomano, furono prelevati dalle loro case torturati e uccisi. La stessa cosa si è poi ripetuta anche nelle altre città dell'Impero. Al resto della popolazione toccò il deserto e le estenuanti marce in zone desolate, senza cibo né acqua. Le popolazioni locali venivano incitate a uccidere i deportati. Si verificò una vera e propria caccia all’armeno. In massa la popolazione armena veniva messa al rogo, fatta morire di stenti e le donne indotte al suicidio per sfuggire a un destino peggiore della morte. Le ragazze venivano violentate, le donne incinte venivano sventrate. I turchi scommettevano sul sesso del nascituro che non sarebbe mai nato. I bambini venivano legati a due a due e gettati nei dirupi, le madri impazzivano dal dolore, alcune uccidevano esse stesse i loro figli, e se provavano a fuggire da quel terribile destino, venivano prese e crocifisse.

Gli uomini, nella tragedia, sono stati i più fortunati perché spesso venivano sgozzati subito. Gli anziani che non riuscivano più ad andare avanti venivano lasciati nel deserto, inghiottiti dalle sabbie infuocate, soprattutto nel deserto di Deir el Zor, nell’attuale Siria, dove fino a qualche tempo fa, se si affondava la mano nella sabbia, si potevano ancora toccare dei resti umani.

Continuamente, e soprattutto ogni 24 aprile, ci ritroviamo a lanciare appelli alla comunità internazionale affinché non si dimentichi degli armeni, affinché riconosca l'autoproclamata Repubblica d'Artsakh, L’Armenia, l’Artsakh non sono poi così lontani come ci sembrano e l’indifferenza verso i crimini che vengono commessi producono sempre altre pagine nere della storia e non è detto che, per il nostro colpevole silenzio e indifferenza, prima o poi queste non riguardino anche tutti noi.

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