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Un anno negativo per la pace

Roberto Roggero - “La guerra è la lezione della storia che i popoli non imparano mai abbastanza”, con questa ben poco piacevole espressione si chiude il 2023, in un’atmosfera di tensione, disequilibrio, conflitti e decine di migliaia di vittime civili. Ucraina, Nagorno-Karabakh, Striscia di Gaza, Yemen, Libia, Sudan, Sahel, e poi la dimenticata Haiti e altro ancora, fra situazioni di crisi, emergenza umanitaria, colpi di stato, e risoluzioni ONU puntualmente disattese. Nonostante questo, ci sono sempre organizzazioni umanitarie, associazioni ed enti di vario genere che non smettono di “combattere” per la pace. La associazione italo-araba Assadakah è una di queste.

Speranze deluse

Si sperava che il 2023 portasse una rinnovata presa di coscienza, di fronte al fatto che tutti gli innumerevoli conflitti del passato non hanno mai portato altro che ulteriori violenze e conflitti, e mai soluzioni a lungo termine, invece niente di tutto questo, e nonostante si sia assistito alla diffusione di una pandemia che avrebbe dovuto avvicinare anziché, com’è successo, dividere ulteriormente. C'erano effettivamente speranze che il 2023 potesse far registrare dei segnali di speranza di stabilità, ma non è stato così, anzi, la situazione è evidentemente peggiorata.

L'Ucraina

Alla guerra in Ucraina ha fatto seguito quella fra Hamas e Israele, né si sono chiusi altri fronti, e altri ancora si sono aperti o riaperti, specialmente in Nagorno-Karabakh, per non parlare dei nuovi pericoli sul Golfo e sul Mar Rosso, in Africa e persino in Sudamerica, con le minacce del Venezuela alla Guyana.

All'inizio del 2023, e nonostante le montagne di armamenti che l’Occidente ha riversato in Ucraina, quella controffensiva che doveva rompere la stretta sull'Ucraina orientale e sulla Crimea, la situazione richiama la devastante guerra di logoramento del 1914-18, con massicce perdite russe e stallo su tutta la linea.

Sul piano diplomatico, si sperava che l’Ucraina potesse resistere anche a una guerra di logoramento, che sembrava favorire la Russia che, nonostante le terribili perdite, a ottobre aveva un numero di truppe doppio rispetto all'inizio dell'invasione, e l'economia russa sul piede di guerra.

L’Europa ha finalmente preso coscienza dell’effettivo logoramento ucraino, soprattutto a Washington, dove il Repubblicani si sono opposti con fermezza all'invio di ulteriori aiuti a Kiev. In questo sono altrettanto evidenti le aperture verso un velato favoritismo per Mosca, mentre crescono le richieste all'Ucraina di passare dall'offesa alla difesa e di cercare un cessate il fuoco.

Gaza

A peggiorare la situazione, l’evento probabilmente più traumatico è stato lo scoppio della guerra fra Hamas e Israele. In seguito ad attacchi improvvisi, Israele ha affermato di voler “cancellare Hamas”, e ha lanciato attacchi aerei contro Gaza come preludio a un attacco terrestre nel nord della Striscia. Diversi ostaggi catturati il 7 ottobre sono stati rilasciati, altri son deceduti, dopo un breve cessate-il-fuoco, i combattimenti sono presto ripresi e le truppe israeliane si sono spostate nel sud di Gaza. L'impennata del numero di morti tra i civili palestinesi, la maggior parte dei quali donne e bambini, ha alimentato le denunce a livello mondiale, secondo cui Israele starebbe commettendo crimini di guerra. Il timore è che il conflitto possa allargarsi, soprattutto col coinvolgimento dell'Iran, e non pochi analisti sostengono che sia proprio questo il piano di Israele: provocare l’Iran per portarlo a un intervento diretto, ottenendo così l’intervento diretto anche degli Stati Uniti, eventualità che il mondo spera di non vedere mai avverarsi.

Nagorno-Karabakh e Sudan

A settembre l'Azerbaijan ha attaccato nuovamente il Nagorno-Karabakh e ha annunciato che avrebbe realizzato l’annessione, cancellando di fatto la piccola repubblica indipendente. Oltre 100mila armeni (l'85% della popolazione del Nagorno-Karabakh) sono stati costretti a cercare rifugio in Armenia, e l'incolumità degli armeni rimasti nel Nagorno-Karabakh potrebbe essere in serio pericolo.

In Sudan era in atto un percorso che doveva portare il Paese alle elezioni e a un governo civile, invece è esplosa una nuova guerra civile, le cui origini sono da cercare nelle proteste che nel 2019 hanno portato alla cacciata del dittatore Omar al-Bashir. La nuova giunta militare ha raggiunto un accordo con i gruppi civili per condividere il potere e lavorare per le elezioni, ma il 15 aprile, i reparti paramilitari ribelli che si fanno chiamare Rapid Support Force, ma che in effetti sono i diretti eredi dei famigerati Janjaweed responsabili del genocidio del Darfur, hanno attaccato le basi dell'esercito in tutto il Paese. I negoziati di Jeddah non sono andati a buon fine, la capitale Khartoum è teatro di indescrivibili violenze, il Darfur sta vivendo un nuovo inferno, le vittime sono oltre 15mila e gli sfollati più di 6 milioni, con conseguente peggioramento della situazione nei Paesi confinanti.

Niger e Sahel

Il 27 luglio 2023 la guardia presidenziale ha arrestato il presidente della Repubblica del Niger, Mohamed Bazoum, eletto nel 2021, si è insediato il Conseil National pour la Sauvegarde de la Patrie comandato dal generale Abdourahamane Omar Tchiani, il sentimento antifrancese ha mosso il Paese verso la Russia, tendenza che accomuna il Niger a diversi altri paesi dell'Africa e in particolare del Sahel.

Stati Uniti e Cina sembravano pronti a trattare, tenendo presente la necessaria soluzione della questione Taiwan, ma in seguito l’apparizione di un pallone sonda cinese sul territorio americano, abbattuto da un F-22 Raptor al largo della costa del South Carolina, i rapporti si sono nuovamente congelati.

Esistono poi altre situazioni di emergenza in Myanmar, Filippine, Sud America, Xinkiang e Tibet, Africa, e crisi conclamate in altre circa trecento situazioni di conflitto nel mondo. Con una popolazione mondiale che ha superato gli 8 miliardi di persone, dovrebbe apparire fin troppo chiaro che sarebbe conveniente una costruttiva convivenza.

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