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Palestina - Acqua, bene non comune

(a cura dell’ambasciata di Palestina in Italia) - Abu Hani e la sua famiglia vivono a soli due chilometri dall’avamposto israeliano di Avigayil, nelle colline occupate a sud di Hebron. Ma a differenza dei residenti di Avigayil,

che sono collegati alla rete idrica nazionale israeliana, Abu Hani e i suoi figli non possono farlo. Non solo non ricevono una goccia da Mekorot, la compagnia idrica nazionale israeliana, ma le autorità israeliane vietano loro di dotarsi di cisterne per immagazzinare l’acqua piovana, come facevano prima che Israele prendesse il controllo dell’area. Abu Hani, come molti altri capifamiglia palestinesi di questa zona, è dunque costretto a percorrere grandi distanze e pagare prezzi esorbitanti per riempire un container arrugginito che fornisce acqua alla sua famiglia. Non è l’unico. Secondo il gruppo per i diritti umani B’Tselem, i palestinesi delle colline a sud di Hebron acquistano regolarmente acqua trasportata da camion che di solito provengono dalla vicina città palestinese di Yatta, pagando più di quattro volte il prezzo dell’acqua per uso residenziale in Israele.

Questi prezzi elevati significano che i palestinesi arrivano a spendere fino a un terzo del loro reddito mensile per l’acqua, in contrasto con Israele, dove una famiglia media spende solo l’1,3% del proprio reddito mensile in acqua.

La mancanza di infrastrutture idriche locali significa che il consumo medio giornaliero di acqua tra i residenti palestinesi è di 28 litri pro capite al giorno, mentre il consumo negli insediamenti israeliani è di 211 litri pro capite al giorno. Il livello di consumo tra i palestinesi è simile a quello delle aree del mondo in crisi umanitaria acuta come il Darfur, secondo B’Tselem.

Negare l’acqua ai palestinesi nelle colline a sud di Hebron è uno dei tanti metodi brutali per espellere la popolazione locale al fine di prendere la sua terra e consegnarla ai coloni ebrei. Ma questa brutalità, ovviamente, non può essere applicata senza la collaborazione di un esercito di occupazione. Daphne Banai, attivista nella Valle del Giordano da 15 anni, ne è stata testimone in una giornata di fine settembre, quando 50 attivisti israeliani, inclusi i membri della Knesset Mossi Raz (Meretz) e Ofer Cassif (Lista comune), hanno accompagnato Abu Hani e la sua cisterna d’acqua dal villaggio di At-Tuwani alla comunità di Al-Mugafara, dove vive. Racconta infatti Daphne che i soldati li hanno attaccati, hanno lanciato gas lacrimogeni e hanno cercato di impedire loro di consegnare l’acqua. Uno dei manifestanti è stato gettato violentemente a terra e ferito da un ufficiale israeliano. Un altro è stato buttato a terra e un soldato si è inginocchiato sul suo collo, proprio come avvenne con George Floyd. Come se tutto ciò non fosse bastato, alla fine sei manifestanti sono stati arrestati e detenuti per sette ore. Purtroppo si tratta di scene di vita quotidiana, spesso corredate dall’intervento dei coloni, che assumono un ruolo attivo nel sabotaggio dell’acqua. Per fare solo un esempio del loro contributo, si pensi che negli ultimi due anni i coloni sono stati capaci di isolare ben due sorgenti in questa zona, impedendo ai pastori palestinesi locali di abbeverare le loro greggi.

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