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Saharawi - Un popolo che continua a sperare

Lorenzo Utile - Il deserto di Hammada è uno dei luoghi più aridi del pianeta. Qui vivono da oltre mezzo secolo oltre 250mila profughi Saharawi, popolazione originaria del Sahara Occidentale. Da oltre mezzo secolo, durante il quale si sono alternati periodi di crisi, guerra, provazioni e speranze, con l’attività del Fronte Polisario, l’area è stata ceduta a titolo temporaneo dal governo algerino alla RASD, Repubblica Democratica Araba del Saharawi, di fatto una entità che non ha ancora ottenuto un riconoscimento ufficiale e quindi al momento è solo un nome senza significato politico, poiché il governo è tutt’ora in esilio.

Speranza e Resistenza

Nel gennaio di quest’anno, l’ultimo congresso del Fronte Polisario ha chiarito, in parte, i rapporti con il Marocco: “Intensificare la lotta per porre fine all’occupazione e ripristinare la sovranità”, Ma il popolo resiste e continua a sperare. Nel frattempo, quella che era il villaggio profughi di Dakhla, nei pressi di Tindouf, nel deserto algerino, oggi è diventata una città, dotata anche di un aeroporto.

La frontiera saharawi, all’ ingresso della Wilaya di El Aaiun è poco distante, ed è l’unico punto in cui i militari di Algeri passano alle guardie della RASD i cittadini stranieri in visita. Oltre questo limite, le rotatorie segnano le piste che conducono ai campi dei rifugiati, un’area organizzata in cinque Wilaya (province) e trenta Daira (villaggi).

Una questione che risale agli anni Trenta del secolo scorso, segnata dalla decolonizzazione spagnola, dalla politica marocchina e dall’autodeterminazione di un popolo nomade, dove il fulcro della contesa è uno dei mari più pescosi del mondo, e quindi l’industria della pesca, e specialmente le ricche miniere di fosfati intorno a Bou Craa.

Una inutile missione ONU

Un territorio dove, dopo oltre mezzo secolo, la missione ONU-Minurso che doveva garantire le condizioni di sicurezza per il referendum sulla autodeterminazione, non ha dato alcun risultato concreto, e il territorio continua ad essere diviso.

Fino al 1975 l’attesa di un referendum per l’indipendenza stabilito dall’ONU e mai effettuato, poi una guerra di quindici anni, la costruzione del “Berm”, che i Saharawi chiamano “il muro della vergogna”, e la divisione fra i territori ricchi per le risorse del sottosuolo, e le aree liberate dal Fronte Polisario. Dal 1991 una fase di tregua, la Risoluzione OUA-ONU sul referendum, poi, nel novembre 2020, la protesta delle donne saharawi a El Guarguarat, e una nuova fase di tensione, oggi ancora in corso. Una questione di cui l’informazione occidentale non parla. Sui giornali e nei notiziari non si sa nulla di questa parte del mondo, e si sa, se di una cosa non si legge e non si parla, è come se non esistesse…

(foto: fonte Renato Ferrantini)

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