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Livorno – Protesta dei portuali: “Non carichiamo armi dirette a Israele”

Aggiornamento: 17 mag 2021


Letizia Leonardi / Roberto Roggero – Non è un segreto che, attraverso molti porti italiani, transitino navi dirette in Israele o in altri scali di Paesi coinvolti in conflitti armati. Il caso specifico riguarda il porto di Livorno, dove lo scorso 14 maggio, gli operatori marittimi si sono astenuti dal lavoro in segno di protesta, contro la disposizione di imbarco di un carico di armamenti ed esplosivi destinati allo Stato ebraico, che in questi giorni sta mettendo in atto una violenta offensiva contro la popolazione palestinese.

Gli operai hanno bloccato le operazioni di imbarco per la “Asiatic Island”, nave immatricolata a Singapore che, secondo una segnalazione dell'osservatorio sulle armi nei porti europei “The Weapon Whatch”, su un quantitativo non precisato di proiettili dal alta precisione, destinati al porto israeliano di Ashold.

Sostenuti da manifestazioni di solidarietà di associazioni civili, lavoratori e cittadini, scesi in piazza in molte città italiane, gli operatori del porto di Livorno hanno fatto presente che oltre a proiettili particolari ed esplosivi catalogati di “Livello 1.4”, il carico comprendeva anche mezzi blindati, allineati sulle banchine in attesa di essere imbarcati. I sindacati dei portuali livornesi, oltre a evidenziare la questione etica legata a una guerra che sta provocando distruzione e morte, si preoccupano anche del problema della sicurezza dei lavoratori e della popolazione, e sono scesi a loro volta in piazza, con il sostegno dei portuali di Genova, per esprimere solidarietà alla popolazione palestinese, per chiedere di fermare i bombardamenti su Gaza e lo stop agli espropri delle abitazioni di intere famiglie palestinesi che da anni vivono sotto occupazione militare.

La “Asiatic Island” ha intanto lasciato Livorno per fare scalo a Napoli. Nel frattempo, l'Unione Sindacale di Base dei portual livornesi, ha diffuso il seguente comunicato: “

"Grazie alla segnalazione dei Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali di Genova e dell'associazione Weapon Whatch, sappiamo nelle stive della nave Asiatic Island ci sono container carichi di armi ed esplosivi diretti al porto israeliano di Ashdod. L'USB sezione porto sostiene che si tratti di armi ed esplosivi che serviranno a uccidere la popolazione palestinese già colpita da duri attacchi, che hanno causato centinaia di vittime tra la popolazione civile fra cui anche numerosi bambini. Attraverso i lavoratori portuali iscritti al sindacato stiamo cercando di raccogliere informazioni in tal senso. Abbiamo ricevuto una segnalazione circa la presenza, presso il Molo Italia, di decine di mezzi blindati militari pronti ad essere imbarcati. Contemporaneamente abbiamo avviato una campagna di sensibilizzazione con i lavoratori portuali livornesi affinché il coraggioso esempio che arriva dal Porto di Genova possa essere riproposto anche sul nostro territorio. Il lavoro è importante, specialmente in questi tempi, ma questo non può farci chiudere gli occhi, o peggio ancora farci diventare complici, di massacri continui nei confronti della popolazione civile".

Nel pomeriggio di sabato una delegazione di lavoratori del porto di Livorno era presente al presidio pubblico a Livorno, organizzato dallo stesso sindacato USB in solidarietà con il popolo palestinese. "La questione dei traffici di armi nel nostro porto – sottolinea ancora la nota della USB - è molto più complessa. Quello di ieri è stata solo il primo passo per iniziare una campagna vera e propria che dovrà coinvolgere i lavoratori e tutta la città. Livorno non deve essere complice delle guerre e dei massacri di popolazioni civili".

Secondo ulteriori informazioni, la “Asiatic Island”, portacontainer da 3.000 Teu, proveniva da Marsiglia-Fos sur Mer, ha toccato Genova e quindi Livorno per proseguire per Napoli. Pare che in tutti i porti siano stati imbarcati container contenenti armamenti, sia con destinazione Ashold che Haifa, sempre in Israele.

Alla protesta dei lavoratori portuali si è aggiunto l'appello di Weapon Watch al governo italiano, per fermare il traffico di armi, al quale si aggiunge anche la stessa Associazione Italo-Araba Assadakah, evidenziando il mancato rispetto delle disposizioni di legge e dei trattati internazionali, sulla proibizione dell'invio di armi e munizioni in caso di palesi violazioni del diritto internazionale e del pericolo che tali armi e munizioni siano impiegati nella repressione interna e contro la popolazione disarmata.

Com’è noto, tali disposizioni si applicano anche al transito e al transhipment di merci provenienti da altri paesi, e tanto più nei casi di munizioni ed esplosivi il cui trasporto ha avuto origine da un porto italiano. La violazione riguarda poi la legge 9 luglio 1990, n. 185, che impedisce la vendita di armi a Stati che non rispettano i diritti umani; la legge del 27 luglio 2000, secondo cui l'Italia aderisce alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale; per non parlare della stessa Costituzione della Repubblica, che all'articolo 11 stabilisce: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Non solo: gli articoli 52 (Comma 1), 78 e 87 regolano le modalità della dichiarazione di guerra e gli articoli 60, 103 e 111 prendono in considerazione il caso in cui il Paese si trovi in stato di guerra.

Il governo italiano, autorizzando il traffico di armamenti, a parte la presenza di industrie di armamenti sullo stesso territorio nazionale, è quindi in piena violazione delle stesse leggi che dovrebbero distinguerlo da coloro che invece attuano impunemente aggressioni militari e occupazione contro popolazioni indifese.

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