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Mozambico – Jihad, povertà e ricchezza

Roberto Roggero – Sui media occidentali non si legge praticamente mai del Mozambico dove, nati negli ultimi anni anche a causa della crescente influenza di predicatori provenienti dalla Tanzania, gli Shabaab hanno aumentato il loro raggio di azione, arrivando a 5mila uomini e diffondendo proclami islamisti, a rivendicare legami con Daesh (Isis). La storica emarginazione e l’esproprio di molte terre ad opera di un governo centrale che ha favorito lo sfruttamento delle enormi risorse locali da parte di multinazionali straniere, senza benefici per la popolazione, ha offerto terreno fertile alla propaganda per il reclutamento terroristico. Il tutto si è trasformato, a partire dal 2017, in attacchi e scontri, con oltre tremila morti e 800mila sfollati, costrette a vivere in dislocamenti in cui manca tutto.

Per arrivare a Manono dalla vicina Pemba, è necessario muoversi con gente fidata, come la Ogn italiana Medici con l’Africa Cuamm. Nella zona si trova un’enorme discarica a cielo aperto, i cui fumi tossici invadono una salina poco distante.

Le risorse umanitarie sono l’unico sostegno reale, che consistono però sempre in riso, fagioli, olio e zucchero. Sono oltre 2.400 le persone, tra cui 600 bambini, costretti in ricoveri di tende di plastica e bambù, invivibili sia con l’afa che con le piogge.

Tra gli sfollati c’è consapevolezza di essere finiti in mezzo a una storia troppo più grande di loro, stretti tra giovani in cerca di denaro e potere che usano l’estremismo islamico come bandiera, e la frustrazione di non poter godere dei proventi della scoperta delle ricchezze del Paese sul Corno d’Africa, o Cabo, grazie alle quali il Mozambico è il terzo Paese africano per riserve accertate di gas naturale e tra i primi al mondo per i rubini. Non mancano grafite, smeraldi, oro, berillio e tantalite, fondamentale per l’industria degli smartphone e non solo. Le testimonianze di un dramma che ha visto i gruppi per i diritti umani accusare di gravi abusi sia le forze di sicurezza intervenute contro gli islamisti sia gli stessi ribelli, autori anche di sequestri di donne e bambini, si susseguono, insieme a violenze, decapitazioni sommarie, rapine e abusi di ogni genere, senza contare malattie ancora endemiche come la malaria malnutrizione e in ultimo il Covid-19.

Il conflitto, quasi sistematico, attualmente pare essere in stallo. Per quattro anni le forze di sicurezza e la polizia hanno provato a reprimere i terroristi, fallendo in modo clamoroso. Lo scorso marzo, la presa della città di Palma da parte degli estremisti aveva provocato decine di vittime e fughe di massa, e la multinazionale francese Total è stata costretta a interrompere le operazioni sulle estrazioni di gas, mettendo a rischio investimenti per decine di miliardi di dollari nella penisola di Afungi. Nella stessa zona sono attive l’italiana ENI, l’americana ExxonMobil e la cinese CNPC.

Solo a luglio, e dopo colloqui con Emmanuel Macron, il presidente mozambicano Felipe Nyusi ha accettato l’intervento di mille militari provenienti dal Rwanda e di altre truppe dei Paesi vicini. Un intervento decisivo per riconquistare zone cruciali come Mocimboia da Praia, crocevia del narcotraffico dall’Afghanistan e anche della tratta di esseri umani. Negli ultimi mesi, quindi, gli Shabaab hanno diminuito l’intensità dei loro attacchi, disperdendosi in piccole cellule sul territorio.

Secondo gli analisti, fra gli estremisti ci sono anche miliziani provenienti dalla Tanzania, ma la maggior parte di loro è costituita da mozambicani, molti disoccupati oppure ex pescatori e agricoltori i cui villaggi sono stati evacuati per far spazio alle installazioni di supporto per le estrazioni. Le loro motivazioni, sottolinea l’International Crisis Group, hanno meno a che fare con l’ideologia rispetto all’obiettivo di avere soldi e potere grazie all’uso delle armi. Per tutti l’islam è come un contenitore ideologico e identitario in cui riversare la propria rabbia, una islamizzazione della radicalizzazione, con giovani emarginati che acquistano grazie alla violenza status sociale, imbottendosi di droghe e ottenendo per la prima volta denaro reale. Violenza per la violenza, in una terra che avrebbe tutto per essere un paradiso e che rischia di trasformarsi nell’ennesimo disastro africano.

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