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Speciale Iraq – Alle urne per rinnovare il Parlamento


Assadakah Baghdad - Elezioni legislative anticipate in Iraq, domenica 10 ottobre, che il governo ha anticipato (erano fissate per il 2022) per venire incontro alla protesta popolare, in atto dal 2019, alimentata da diversi altri problemi, ma puntata soprattutto contro la corruzione politica e la mancanza di servizi pubblici essenziali. In ogni caso, è possibile che il malcontento alimenti anche l’astensione dal voto, nel qual caso le elezioni potrebbero non rispecchiare la reale situazione, nello scenario in cui il partito sciita di Moqtada al-Sadr risulta il favorito.

In particolare, l’elettorato iracheno, composto da circa 25 milioni di cittadini, su una popolazione di oltre 40 milioni, dovrà eleggere 329 membri del Consiglio dei Rappresentanti, a loro volta responsabili della nomina di presidente e primo ministro.

In realtà, già l’8 ottobre si sono aperti i seggi elettorali per i dipendenti dei Ministeri della Difesa e dell’Interno, del Servizio antiterrorismo, del Ministero dell’Interno della Regione, del Ministero dei Peshmerga, e per sfollati e detenuti iracheni, per un totale di oltre un milione di persone.

Le ultime elezioni parlamentari in Iraq risalgono, invece, al maggio 2018, caratterizzate da un tasso di affluenza del 44,52%, definito basso, e dalla vittoria inaspettata di Muqtada al-Sadr, clerico sciita a capo dell’alleanza Sairoon. Secondo i dati dell’Alta Commissione Elettorale, sono 3249 i candidati che si sono registrati, tra cui 951 donne e 789 indipendenti. Un forte calo rispetto alle precedenti elezioni, dove concorsero 6.982 candidati.

In parte, tale diminuzione è da attribuire alla nuova legge elettorale, ratificata dal presidente iracheno, Barham Salih nel novembre 2020, che non consente più ai partiti una campagna elettorale su liste unificate. L’obiettivo è consentire agli elettori di assegnare la propria preferenza non solo ai partiti politici, ma anche a candidati indipendenti, per ridurre il monopolio dei partiti tradizionali.

I seggi saranno assegnati a coloro che otterranno il maggior numero di voti nelle liste elettorali della propria circoscrizione. Inoltre, il 25% dei seggi verrà destinato a quote rosa, mentre 9 a minoranze religiose o etniche, di cui 5 ai cristiani. I rappresentanti eletti rimarranno in carica per un periodo di quattro anni.

Un’altra novità significativa è la presenza di osservatori internazionali, inviati anche dalle Nazioni Unite e dall’Unione Europea, il cui obiettivo è garantire l’equità e la trasparenza del processo elettorale, dissipando i timori di chi teme violenze e compravendita di voti, elementi che hanno spinto la popolazione ad avere scarsa fiducia.

Una società di revisione indipendente terrà sotto controllo il conteggio dei voti, mentre per prevenire l’abuso delle tessere elettorali elettroniche, queste saranno disabilitate per 72 ore, dopo che una persona avrà votato, così da evitare una doppia votazione. Inoltre, per prevenire frodi, i risultati provvisori saranno mostrati in tutto il Paese. In passato, invece, questi venivano annunciati una volta che le schede erano state trasferite e contate presso la sede della commissione.

Il presidente Salih, il primo ministro al-Kadhimi e i leader delle forze politiche hanno firmato una nuova intesa denominata “Codice di condotta elettorale”, che obbliga i partiti a non interferire con i compiti del Commissione Elettorale, e creare pari opportunità per i candidati.

La scena politica irachena sembra essere ancora dominata da forze tradizionali, nonostante i movimenti di protesta del 2019 e l’ingresso in politica di esponenti più vicini alla popolazione e alle sue ambizioni. Nella parte sciita sono quattro le coalizioni principali. La prima è quella guidata da Muqtada al-Sadr, vincitore delle precedenti elezioni e alla guida della maggiore coalizione nel Parlamento appena sciolto. Si tratta di una figura popolare coinvolta nella politica irachena dal 2005, definito un populista, e dotato anche di una propria forza armata affiliata alle Forze di Mobilitazione Popolare (PMF). Egli si è più volte detto contrario alla presenza degli USA, ma, allo stesso tempo, non ha mai accolto con favore l’influenza dell’Iran all’interno del panorama iracheno. Sadr, in un primo momento, era tra i sostenitori dei movimenti di protesta di ottobre, a tal punto che inviò propri sostenitori, i “caschi blu”, per proteggere i manifestanti. La sua posizione è mutata con la morte del generale iraniano Qassem Soleimani, ucciso a seguito di un raid statunitense, il 3 gennaio 2020. Da quel momento in poi, i seguaci di Sadr, oltre ad abbandonare le piazze, sono stati accusati di veri e propri attacchi contro i manifestanti iracheni. Anche per le elezioni, Sadr aveva inizialmente deciso di non candidarsi, dopo l’incidente del 13 luglio in un ospedale Covid a Nassiriya, ma ha cambiato idea quando ha ricevuto un “documento di riforma” che l’avrebbe convinto della reale possibilità di apportare cambiamenti nel Paese e liberarlo dalla corruzione.

La seconda coalizione è Fatah, arrivata seconda alle elezioni del 2018. Questa è guidata da Hadi al-Amiri, capo dell’organizzazione Badr, affiliata alle Forze di Mobilitazione Popolare.

La terza maggiore coalizione sciita è, poi, la National Power of the State Coalition, formata da un altro clerico sciita, Amar al-Hakim, e l’ex premier Haider Abadi. Infine, vi è “Stato di Diritto”, coalizione guidata dall’ex primo ministro Nuri al-Maliki, leader del partito Dawa, il quale ha ricoperto il mandato più lungo come primo ministro tra il 2006 e il 2014.

All’interno dell’alleanza sunnita sono emersi tre blocchi principalmente radicati nell’Ovest iracheno, guidati da milionari e uomini d’affari con legami nel Golfo. Uno è il presidente del Parlamento in carica Mohammed al-Halbousi, a capo dell’alleanza Taqaddum, particolarmente radicata ad Anbar. L’altra coalizione è al-Azm e vede a capo Khamis al-Khanjar, un imprenditore sunnita che gode di buone relazioni con Qatar e Iran, ma sanzionato dagli USA per corruzione. Infine, vi è il Progetto di Salvezza Nazionale, di Osama al-Nujaifi, ex vicepresidente, particolarmente influente a Mosul. Infine, vi sono i partiti curdi, tra cui, il Partito Democratico del Kurdistan guidato da Massoud Barzani e la Patriotic Union of Kurdistan (PUK), alleatasi con il Change Movement.

Circa i possibili cambiamenti, le forze tradizionali potrebbero ottenere l’80% di seggi parlamentari o poco meno, mentre dal 15 al 20% si prevede sarà destinato a partiti o personalità indipendenti.

Tra gli scenari proposti vi è un ritorno alla stessa consuetudine del passato, con riferimento alla separazione dei poteri tra sunniti, sciiti e curdi, rispettivamente a capo di Parlamento, governo e presidenza della Repubblica.

L’Iraq si dimostra di elevato interesse strategico anche per l’Italia che nella primavera del 2022 assumerà il comando della missione Nato in Iraq. Il crescente ruolo che il nostro paese sta acquisendo nel contesto iracheno è testimoniato dalla visita a Roma a inizio luglio del premier al-Kadhimi, nel corso della quale si è incontrato con diverse autorità italiane (tra cui il presidente del Consiglio, Mario Draghi) per discutere di temi fondamentali per la stabilità irachena e regionale, a cominciare dal sostegno di Roma nella lotta allo Stato islamico e il ruolo delle imprese italiane nella ricostruzione dell’economia e del tessuto infrastrutturale iracheno.[20] Pur non presente al Summit internazionale, l’Italia ha più volte applaudito alla crescente forza delle istituzioni irachene, che si avviano a sostenere una nuova tornata elettorale. A detta di Roma, quello iracheno rappresenta l’esempio necessario per la Nato di rilanciare le proprie capacità di intitution-building, dopo aver appositamente messo a sistema le criticità emerse nello scenario afghano.

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