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Speciale - La difficile strada dell'Armenia

Assadakah News – Fra i molti teatri attualmente di estrema valenza strategica, di cui poco si parla sui media occidentali, è la scottante e sempre viva questione Caucaso, dove la tensione rimane notevole in seguito alle politiche messe in atto dall’Azerbaijan nei confronti di Armenia e Nagorno-Karabakh.

Uno scontro che, come quello in atto in Ucraina, dovrebbe interessare molto di più, e spingere a una profonda riflessione geopolitica, per altro in tempi brevi, prima che si passi il punto di non ritorno.

In gioco ci sono diversi fattori, fra i quali uno dei più importanti è la mancata risoluzione delle controversie, specie di natura etnica e religiosa, pesante eredità lasciata fin dal disfacimento dell’impero ottomano, e poi da quello sovietico.  Quello che, in Armenia e non solo, è considerato a tutti gli effetti un genocidio (Meds Yeghern, la Grande Catastrofe).

Le divisioni fra cristiani armeni e musulmani azeri, ha poi origini ancora più antiche, risalenti alla Rivoluzione russa del 1917, con il Nagorno Karabakh e il territorio del Nakchivan come punti caldi del conflitto.

Da non dimenticare gli innumerevoli conflitti mai risolutivi degli ultimi anni del ‘900, proprio per quel Nagorno Karabakh che oggi rischia l’estinzione, nonché i tentativi di alcune Grandi Potenze di scontrarsi per procura, sfruttando proprio le storiche incomprensioni e i contrasti locali. Stalin aveva cercato un dialogo con la Turchia di Ataturk anche avendo in qualche modo un “occhio di riguardo” per l’Azerbaijan a maggioranza islamica e filo-turca, assegnandoli il Nagorno-Karabakh e il Nakchivan, ma dal crollo dell’URSS l’instabilità del Caucaso si è sviluppata drammaticamente fino a guerre come quelle in Cecenia, che ha certamente evidenziato numerose incapacità da parte occidentale toccare le giuste corde della pacificazione. Di certo anche a causa di ingerenze esterne, in un’area estremamente delicata (Mosca in primis).

Una polveriera pericolosa, e pericolosamente agitata dalla Guerra settembre-novembre 2020, quando l’Azerbaijan invase il 75% del Nagorno-Karabakh, ribattezzatosi Artsakh, e nel 2023 con l’occupazione pressoché totale, che ha visto l’impossibilità oggettiva dell’Armenia di combattere ad armi pari, a causa del supporto turco a Baku, e dell’atteggiamento di Europa e USA dettato dai contratti per i rifornimenti di gas naturale e petrolio. Prova ne sia il dato di fatto che l’Azerbaijan ha una spesa militare dichiarata di quattro volte superiore a quella dell’Armenia, che non ha velleità di espansione militare o pulizia etnica.

Da considerare la tacita collaborazione di Baku con Ankara, sia per motivi di storica vicinanza (in pr mis a livello religioso) che per l’ambizione turca di estendere la sua influenza sull’Asia Centrale. L’Azerbaijan inoltre acquista armamenti russi, e ad aggravare la situazione i tesi rapporti fra Mosca e Yerevan.

Un percorso difficile e denso di ostacoli, che l’Armenia si trova ad affrontare con le proprie forze e che non è facile prevedere, ma assolutamente necessario per giungere a una pacificazione della Regione, e per evitare ulteriori sofferenze a popolazioni che ne hanno avute decisamente abbastanza. Una normalizzazione che deve passare da un tavolo di discussione con i i protagonisti diretti, in un confronto che sia costruttivo.

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