Sudan - Un conflitto ai margini del panorama mediatico
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Assadakah News - In Sudan, in particolare nel Darfur, si continua a morire, nell’indifferenza della comunità internazionale e degli organi d’informazione occidentali.
La principale città del Darfur settentrionale, El-Fasher (o Al-Fashir), è costantemente sotto assedio da parte dei paramilitari ribelli della Rapid Support Force, che prendono di mira la popolazione civile. Oggi un drone d’attacco ha presi di mira il mercato dove centinaia di persone erano in fila per ottenere qualcosa da mangiare. Sono morte 15 persone, soprattutto donne e bambini.
I miliziani della RSF hanno chiuso tutte l vie d’accesso e uscita da El-Fasher, bloccando anche i pochi aiuti umanitari, tenendo la popolazione in ostaggio, ultimamente funestata anche dall’insorgere di epidemie di malaria, dengue e colera.

Alla 80a Assemblea Generale ONU, in corso a New York, il segretario generale, Antonio Guterres, ha ribadito che non esiste una soluzione militare al conflitto in corso, e ha chiesto ai governi coinvolti di cessare le ostilità che vanno soprattutto a danno della popolazione.
La guerra civile imperversa dal 15 aprile 2023, e la situazione umanitaria è al collasso: 25 milioni di persone sono in condizioni di estremo pericolo, oltre 12 milioni di sfollati interni, altre centinaia di migliaia si riversano oltre confine dei Paesi vicini (soprattutto Chad, Sud Sudan, Egitto e Libia), dove la situazione è altrettanto precaria, interi villaggi devastati, fame e malattie come arma di guerra, violenza e pulizia etnica. Nonostante l’evidenza, il Sudan vive nell’assenza di un deciso impegno da parte delle grandi potenze mondiali, e in una paradossale situazione geopolitica: una crisi umanitaria senza precedenti, tenuta ai margini dello spazio politico e mediatico, che rivela come il sistema sia dominato da logiche di selezione, in base a interessi strategico-economici.
Il Sudan è un Paese con enormi ricchezze naturali e questioni irrisolte, fra cui la grande diga GERD, che rende instabile l’intero bacino idrico, mentre la RSF esercita il controllo su reti di contrabbando d’oro e altre risorse, nonostante l’embargo sulle armi imposto dalle Nazioni Unite. Inoltre, affacciandosi sul Mar Rosso, è comprensibile l’intromissione di interessi terzi di Paesi intenzionati a consolidare la propria influenza su una rotta marittima fondamentale per i commerci e l’approvvigionamento energetico europeo. Non è un caso che la prospettiva di una base navale russa a Port Sudan abbia suscitato forti reazioni a livello internazionale.
Il rischio è la destabilizzazione dell’intera regione del Corno d’Africa, già segnato dai disordini in Somalia e la questione del Tigray. L’ONU ha da tempo dimostrato che la risposta umanitaria rimane pesantemente sottofinanziata, con conseguenze immediate su milioni di persone.
Per l’Europa e l’Italia, ignorare il Sudan equivale a trascurare una crisi che riguarda da vicino la stabilità e la credibilità dell’Occidente nel difendere i principi di diritto internazionale.
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