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Ucraina, Mediterraneo e Paesi arabi

Roberto Roggero – Esiste un innegabile successione di collegamenti e conseguenze fra la situazione di emergenza in Ucraina, l’area del Mediterraneo e i Paesi arabi, specialmente nell’area del Golfo, con il riconoscimento del fatto che gli Stati Uniti non possono più continuare a essere un elemento di egemonia nella regione. Gli equilibri sono ormai cambiati, perché sono in continuo divenire e, nella partita fra Mosca e Washington devono necessariamente essere i diretti interessati a fare valere la propria opinione e il proprio peso diplomatico, politico, economico.

Nell’attuale mondo globalizzato, le distanze sono sostanzialmente annullate, per questo la regione afro-mediterranea e quella del Golfo non possono considerarsi immuni dalle implicazioni della guerra scatenata da NATO e Russia. Non solo perché il Golfo è la regione fulcro della bilancia economica del Medio Oriente e non solo, ma anche perché per i principali attori dell’area, fra cui Arabia Saudita, Qatar ed Emirati, la situazione di crisi è senza dubbio un momento importante del cambiamento di dinamiche e obiettivi della propria politica estera.

Per questo è necessaria una revisione dei precedenti accordi, soprattutto in materia di economia politica e di politica economica (che non sono la stessa cosa): la diversificazione economica dal punto divista post-petrolio si è unita a quella delle alleanze internazionali. Tuttavia, i collegamenti in materia di diplomazia e sicurezza con Washington, seppur in profonda trasformazione, rimangono un elemento basilare. Questo è il terreno di confronto fra USA e Russia nel mondo arabo, e la crisi ucraina è indubbiamente una prova, non certo facile, di quelle che dovranno essere le relazioni internazionali in materia di business e partnership strategiche, senza trascurare l’elemento Iran, che a sua volta non potrà essere immune dalle conseguenze, nonostante il rapporto privilegiato con Mosca, e con i colloqui di Vienna sulla questione del nucleare in pieno svolgimento, che dovranno necessariamente essere sottoposti a nuove valutazioni.

La “spirale ucraina” rischia di essere una pericolosa discesa senza freni, in un quadro che proprio in questi ultimi anni stava riassumendo una qualche forma definita, in un Medio Oriente da poco affacciato nel nuovo assetto determinato dallo sganciamento dalla ingerenza statunitense, ma di certo non è una cosa che si possa risolvere nell’immediato, e i tentativi di alcuni Stati del Golfo di porsi come mediatori nella crisi ucraina, che è una manifestazione palese della crisi USA-Russia, rivela la necessaria ricerca di un equilibrio che non faccia precipitare ulteriormente gli equilibri mediorientali nei quali, nonostante tutto, USA e Russia sono e rimarranno parte in causa, come dimostrano gli approcci dell’emiro Tamin bin Hamad Al Thani da parte del Qatar, seguiti dal principe ereditario Mohammed bin Salman Al Saud del Regno Saudita, e quelli più contenuti da parte del Kuwait e, quelli, ancora più contenuti, del principe di Abu Dhabi, Mohammed bin Zayed Al Nahyan, il quale per altro si sta muovendo anche nel contesto yemenita, ottenendo l’assenso di Mosca all’embargo sugli armamenti, trascinando verso un cauto consenso anche Riyadh, per puntare a una soluzione diplomatica e una conseguente e conveniente coesistenza con Teheran.

Il quadro generale, infatti, suggerisce di risolvere un problema per volta, perché gli equilibri regionali e internazionali sono contemporaneamente in gioco, specialmente ora che l’area del Golfo si è sta sganciando dalla pesante ingerenza americana, e la coesistenza fra Riyadh e Teheran, e all’interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo, pare essere la sistemazione più conveniente. E cosa dire a proposito delle conseguenze che la crisi ucraina avrà nello scacchiere euroasiatico?

Oggi l’Europa dimostra di essere il ventre molle del sistema globale, esposto all’aggressività russa, e proprio su quel versante si registrano importanti svolte, come la decisione tedesca di procedere a un massiccio riarmo e sospendere le autorizzazioni al gasdotto NordStream-2.

Anche l’Italia ha scelto di fare la sua parte, aderendo alle sanzioni proposte da USA e UE, ben cosciente che la mossa comporterà inevitabili contraccolpi economici: rincaro dei prezzi, commesse cancellate, sistema creditizio a rischio.

L’impatto della guerra in Ucraina non è certo da sottovalutare nemmeno sul Mediterraneo e sull’Africa. Il primo aspetto è quello strategico-concettuale, dal momento che in gioco ci sono anche i non indifferenti interessi sia di Mosca che di Pechino, segno evidente che la partita si gioca anche in terra d’Africa, dove Cina è da considerare un vero e proprio spettro per gli strateghi anglo-americani, e in grado di realizzare un mega-blocco politico ed economico.

Ovviamente, Washington non può arrivare ad arginare il ciclone Pechino in Africa, per questo non possono non considerare il supporto economico-commerciale di Francia e Italia, offrendo così l’opportunità per gli Stati Uniti di dedicare parte delle proprie energie anche al settore Indo-Pacifico, dove la Cina sta facendo la parte del leone.

Da non trascurare l’elemento Turchia, dove gli USA hanno tutta la convenienza a che vengano mantenuti buoni rapporti fra Ankara, Roma e Parigi perché Erdogan può essere, anzi è, un fattore di non trascurabile valore nel piano di contenimento di Russia e Cina in Medio Oriente e Africa. Situazioni difficilmente sostenibili, equilibri fragili della geopolitica, che oggi comprende elementi basati non più solo sul petrolio, ma principalmente su infrastrutture e risorse idriche.

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