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EAU – Erdogan corre ai ripari, e l’Italia raccoglie le briciole


Roberto Roggero - Il grande Risiko non si ferma, a colpi di contratti miliardari per la vendita di armamenti, in cambio di contratti miliardari per scambi commerciali, cooperazione e infrastrutture. Nel gennaio 2021 il governo italiano aveva posto il blocco alla vendita di armamenti agli Emirati Arabi, ma la bilancia geopolitica ne ha risentito e quindi, prima il blocco è stato ridotto, per poi essere rimosso. Poco importa dello Yemen.

Un allentamento delle restrizioni che una parte della stampa italiana ha interpretato come tentativo di resuscitare vecchie o nuove autorizzazioni, tutt’oggi revocate o sospese, per l’esportazione di missili o bombe d’aereo verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi. Ma la decisione del governo italiano, attraverso la UAMA (l’Unità Autorizzazioni Materiali di Armamento), di togliere la clausola end-user certificate rafforzata sulla vendita di armi verso i due Paesi del Golfo non creerà alcuno spiraglio per la ripresa dell’export di bombe che potrebbero essere di nuovo utilizzate nel conflitto in Yemen. Prova ne sia la recente visita in Italia del ministro dell’Economia degli Emirati Arabi, Abdoulla Bin Touq Al Marri, accolto e riverito come un sovrano delle “Mille e una Notte”, il quale è venuto a proporre convenientissime iniziative, in cambio della riapertura del canale di rifornimento per gli armamenti italiani, evidentemente molto apprezzati. Il fatto ha suscitato allarme nelle stanze del potere di Ankara, che vede messi a rischio i propri interessi, tanto da costringere il sultano Recep Tayyp Erdogan a volare a Dubai per recuperare terreno e assicurarsi nuovi accordi commerciali, valutare nuovi passi da compiere e ambiti in cui sviluppare relazioni rimaste in stallo per 10 anni. Le relazioni Turchia-Emirati Arabi avevano poi subito un pesante rallentamento nel 2017, quando una coalizione di Paesi del Golfo aveva imposto un embargo durato quasi 4 anni nei confronti del Qatar, grande alleato di Ankara, ma ora sembra che i rapporti siano rifioriti, il tutto a danno conclamato del nostro Paese, che appare sempre più come un sacco vuoto.

Oggi, gli Emirati Arabi Uniti sono tornati a essere il principale partner commerciale della Turchia fra i Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), e il secondo più grande investitore dell'area, con un interscambio sia nel 2020 che nel 2021 che ammonta a circa 8 miliardi di dollari, nel quadro di uno scambio, avvallato dalla Banca Centrale Turca, di 65 miliardi di lire turche con 18 miliardi di dirham emiratini.

E’ un fatto che, politicamente e dal punto di vista geopolitico globale, l’Italia dimostra di non avere peso sostanziale, per cui non rimane che contare sulla qualità della produzione ed esportazione di armamenti, che grazie al governo Renzi, nel 2016, ha subito un notevole impulso, specialmente verso i mercati africani e mediorientali, con oltre 8,5 miliardi di euro di operazioni autorizzate verso questa area del mondo, pari al 58,8%, e proseguito nel 2017 durante il governo Gentiloni (4,6 miliardi, pari al 48,5%) e nel 2018 con il secondo governo Gentiloni prima e poi con Giuseppe Conte (2,3 miliardi, pari al 48,3%). Nel 2019 con i governi Conte I e II (1,3 miliardi, pari al 32,6%) e, appunto, nel 2020, col governo Conte II (1,5 miliardi, pari al 38,7%).

Nell’insieme, le esportazioni militari verso l’area Mena ammontano ad oltre 18,4 miliardi di euro, pari a poco meno della metà (il 49,8%) di tutte le autorizzazioni rilasciate negli ultimi cinque anni: una cifra che supera ampiamente quella delle licenze per armamenti dei Paesi UE-Nato (13,9 miliardi, pari al 37,9%).

Da notare che la legge n.185 del 1990 stabilisce infatti che le esportazioni di armamenti devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia e che le operazioni devono essere regolamentate dallo Stato secondo i princìpi della Costituzione Repubblicana (Art.11) che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Non servono commenti.

Rimane da valutare, quindi, alla luce delle contromosse del sultano Erdogan, quanto sarà conveniente la visita in Italia del ministro Al Marri, che ha promesso nuovi investimenti, in cambio di nuove forniture, e constatare se l’Italia sarà, come al solito, ridotta ad accontentarsi delle briciole, che Erdogan sarà tanto magnanimo da lasciare intorno al piatto.

Ulteriore questione, quanto mai attuale, e con riferimento al Risiko, la partita che al momento si sta giocando in Ucraina, e che merita un ampio capitolo a parte.

In calce a tutto questo, rimane il peso che il nostro Paese perde ogni giorno nelle contrattazioni internazionali, che purtroppo risente pesantemente della poca credibilità e, sostanzialmente, della poca capacità di chi lo rappresenta negli Affari Esteri.

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