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Gaza - Dal nostro corrispondente

Assadakah News - Abed Nasser Abu Oun è il corrispondente di Assadakah dalla Striscia di Gaza, e da oltre vent’anni, rischiando la vita in prima persona. racconta i drammatici avvenimenti che ogni giorno avvengono alla popolazione palestinese, sottoposta a occupazione e a una campagna genocida scatenata da Israele. Dopo oltre quattro mesi di inferno in terra, Abed è riuscito a mettere in salvo la propria famiglia, al Cairo, dove si trova ancora oggi.

I suoi racconti sono emozionanti, e rendono l’idea di ciò che i palestinesi si trovano ad affrontare, specialmente durante l’attuale ondata di bombardamenti: “E’ stata una decisione difficile, ma ho venduto tutto ciò che possedevo e ho scelto di salvare i miei cari, tuttavia la mia anima, il mio cuore e la mia mente sono rimaste a Gaza”.

Le sue parole, di fronte alla delegazione italiana giunta al Cairo nel quadro del programma solidale promosso da Arci, AOI e Assopace Palestina, non hanno bisogno di commenti: “Ogni giornalista palestinese rischia la vita ogni giorno due volte: una volta perché è palestinese e un’altra volta proprio perché è un giornalista, insieme alla popolazione, per fare conoscere al mondo ciò che succede. Può succedere che si trovi a raccontare un bombardamento dalla casa di un familiare, di un amico o di un collega. I reporter palestinesi sono gli unici a fare informazione dalla Striscia, perché gli israeliani hanno proibito l’ingresso a chiunque non sia israeliano o palestinese. Di certo si trovano ad affrontare problemi giganteschi e vitali, come quella di avere un elmetto o un giubbotto antiproiettile, di quelli color blu con la scritta “PRESS”, in genere usati dai corrispondenti come la maggior parte dei reporters di guerra. “Nella Striscia però non c’è niente, tutta le attrezzature sono state distrutte o confiscate, quindi i giornalisti fabbricano con i propri mezzi ciò che serve. Ma serve a poco perché i giubbotti blu che indossano, per esempio, sono imbottiti di spugna, e non offrono alcuna protezione contro i proiettili israeliani”.

Ahmed Jad, direttore del media “Al Ayam”, parla di cifre drammatiche riguardo i giornalisti uccisi: “Ad oggi sono 217 i reporters morti a Gaza a causa dell’aggressione israeliana, oltre ad almeno 400 feriti e i circa 50 arrestati e incarcerati nelle prigioni israeliane. I giornalisti sono bersagli preferenziali, vengono deliberatamente presi di mira, perché sono un pericolo in quanto raccontano la verità, e gli aggressori vogliono evidentemente uccidere la verità”

Lo stesso Ahmed Jad è riuscito a uscire dalla Striscia con la propria famiglia, quando il valico di Rafah non era stato ancora blindato, ma è ogni giorno in pena perché la moglie si trova ancora a Gaza, unica superstite della famiglia perché la sorella e i nipoti sono morti sotto le bombe israeliane: “Non riesco nemmeno più a versare lacrime, non riesco più a esprimere un sentimento”, sono le sue lapidarie parole.

Nella parte egiziana del confine, a Rafah, è attesa un’altra delegazione italiana con 11 parlamentari, 3 deputati del Parlamento Europeo e 13 giornalisti, più alcuni accademici ed esperti di diritto internazionale, per verificare le condizioni attuali, sfidare l’indifferenza della comunità internazionale e tentare di rompere l’isolamento, formulando una ufficiale richiesta per un cessate-il-fuoco, secondo le risoluzioni promulgate dalle Nazioni Unite. Un obiettivo difficile, vista la continua impunità delle forze armate israeliane, tuttavia non impossibile.

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