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Italia - Profughi palestinesi: due pesi, due misure

  • 12 ore fa
  • Tempo di lettura: 3 min

Roberto Roggero* - La Associazione Internazionale di Amicizia Italo-Araba Assadakah conferma il proprio impegno a sostegno della fraterna popolazione palestinese, una delle missioni assunte fin dalla fondazione, oltre 30 anni fa.

A tale scopo, si vuole evidenziare la drammatica situazione dei palestinesi che, dall’inferno di Gaza, sono giunti in Italia, la maggior parte dei quali sono alloggiati in centri di accoglienza mischiati agli immigrati clandestini.

La usuale valutazione che in Italia non è cosa ignota, specialmente se si considerano le condizioni di altri profughi provenienti da Paesi in guerra, come ad esempio l’Ucraina. Due pesi, due misure, poiché i profughi ucraini sono alloggiati in albergo con tanto di servizi a disposizione.

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Non si vuole qui fare alcuna distinzione fra persone fuggite dal proprio Paese coinvolto in un conflitto. Tutti i profughi che sono riusciti a lasciare una patria in guerra, loro malgrado, dovrebbero però essere allo stesso livello, sena preferenze.

La questione fondamentale sta a monte: il governo italiano sostiene l’Ucraina e non la Russia, quindi i profughi ucraini ricevono un trattamento. D’altra parte, essendo il governo a favore di Israele, e non della Palestina, i profughi palestinesi ricevono un trattamento diverso.

E’ solo la proverbiale punta dell’Iceberg, perché per il palestinese giunto da Gaza le difficoltà e il trattamento differente inizia appena giunto in territorio nazionale: un’attesa infinita a causa di una contorta burocrazia, per il riconoscimento dello status di rifugiato, nonostante l’evidenza dell’essere stato evacuato da un territorio in guerra, e nonostante che tale condizione sia tutelata dal diritto di protezione secondo le leggi internazionali. Il palestinese deve attendere il riconoscimento del proprio status nei centri di accoglienza temporanei, con limitato accesso a cure mediche e sicurezza. Per non parlare poi dei problemi da affrontare in caso sia richiesto il ricongiungimento con familiari presenti in Italia.

Una sorta di limbo legalizzato nell’incertezza di un futuro. Eppure l’Italia ha sottoscritto i decreti di urgenza umanitaria, che dovrebbero garantire il diritto a sistemazione e protezione immediata, dal momento in cui si trovano sul suolo italiano, e invece i palestinesi sono costretti ad attese di mesi per il riconoscimento di una condizione che, a tutti gli effetti, è già stabilita dalle norme internazionali.

L'attesa prolungata costringe le famiglie a vivere in centri di accoglienza temporanei, senza certezze sul futuro e con difficoltà di accesso a servizi fondamentali, con conseguenze su integrazione e sicurezza personale a causa dei ritardi nel processo di regolarizzazione, che possono compromettere la possibilità di accedere a cure mediche, percorsi di integrazione e, soprattutto, il diritto alla stabilità e sicurezza.

Le famiglie faticano a riunirsi a causa del blocco dei ricongiungimenti per coloro che non sono ancora pienamente regolarizzati.

In questo contesto, alcune organizzazioni come la Comunità di Sant'Egidio offrono supporto per le cure più urgenti e un aiuto per fare ricongiungere i profughi con le loro famiglie, come nel caso di un gruppo di 81 persone da Gaza a partire da gennaio.

L’Italia, attraverso decreti di urgenza, avrebbe gli strumenti per garantire immediata protezione internazionale a chi fugge da Gaza e da altre aree di conflitto. Invece, l’attuale burocrazia costringe interi nuclei familiari ad attese di mesi.

Una situazione che chiaramente è in aperto contrasto con le convenzioni internazionali sui rifugiati, ed espone persone già traumatizzate da guerre e persecuzioni a ulteriori disagi, in particolare i bambini. D’altra parte non deve sorprendere: il governo italiano riconosce lo Stato dell’Ucraina ma non riconosce la Palestina, e le conseguenze si vedono.

Il governo italiano ha l’obbligo di attivare le previste procedure straordinarie e immediate per riconoscere lo status di rifugiato politico alle famiglie palestinesi già presenti sul territorio. Misura che non è solo un atto di giustizia, ma un dovere umanitario.

(*Direttore responsabile Assadakah News)

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