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Lega Araba - Sostegno al Piano per Gaza

  • 16 ago
  • Tempo di lettura: 2 min

Roberto Roggero* - La situazione in continuo disequilibrio nelle trattative per fermare la guerra nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, le assurde pretese del governo israeliano sulla deportazione dei palestinesi un Sud Sudan, dove per altro ci sono questioni umanitarie altrettanto preoccupanti, ripropone all’attenzione mondiale la proposta della Lega Araba per la ricostruzione di Gaza con la popolazione palestinese, contro i progetti di totale occupazione del gabinetto Netanyahu, sostenuto da Washington.

La domanda fondamentale rimane: in che misura il piano arabo può avere successo sulle opposizioni?

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Il progetto è stato presentato durante il recente vertice arabo al Cairo, e si basa sulla accettazione globale della sovranità palestinese. Il comunicato finale del vertice ha affermato che una pace giusta e globale è la scelta strategica degli Stati arabi, basata sull'Iniziativa di Pace del 2002, con la fine dell'occupazione dei Territori Palestinesi e la realizzazione della Soluzione dei due Stati.

Ovviamente ciò si scontra con i progetti israeliani, e con quelli americani anche se più tolleranti: insediamento tramite una “pace economica”, ma sempre senza riconoscimento dei diritti palestinesi.

Gli Stati arabi, in sintesi, si oppongono a qualsiasi costrizione o evacuazione della popolazione palestinese, definito crimine contro l'umanità e pulizia etnica, oltre al fatto che destabilizzerebbe l’intera Regione.

Su ispirazione egiziana, e con il coordinamento di Autorità Nazionale Palestinese, Banca Mondiale, Fondo Sviluppo ONU, lo scopo è la riabilitazione della Striscia di Gaza con il sostegno arabo e internazionale, garantendo che i palestinesi rimangano nella loro terra. Sul piano internazionale, la difficoltà principale è il reperimento di fondi internazionali, vista la pressione economica americana.

Chiesto il dispiegamento delle forze di pace internazionali a Gaza

Per la situazione interna, il vertice arabo ha accolto la proposta di formazione di un Comitato per la gestione di Gaza sotto la supervisione della ANP, e la formazione di quadri di sicurezza palestinesi in coordinamento con Egitto e Giordania, per riunificare politicamente e geograficamente Cisgiordania e Gaza. A garanzia di questo, la presenza di un contingente internazionale di peacekeeping.

La dichiarazione finale ha sottolineato la necessità di obbligare Israele a fermare le attività di insediamento e a respingere qualsiasi tentativo di annessione di parti della Cisgiordania, avvertendo che tali pratiche sarebbero una pericolosa escalation.

Fondamentale poi la questione Gerusalemme Est e Luoghi Sacri dell’Islam, con riferimento alla Grande Moschea di Al-Aqsa.

Nel tentativo di rafforzare la posizione palestinese a livello internazionale, il vertice ha ritenuto Israele "legalmente e materialmente responsabile dei suoi crimini a Gaza", secondo il testo del comunicato, e ha iniziato a considerare la possibilità di classificare lo sfollamento e la fame come crimini di genocidio.

I Paesi arabi presenti hanno inoltre chiesto di intervenire attraverso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e i tribunali internazionali per punire Israele, anche per ciò che ha causato e sta causando in Libano e Siria, in contrasto con la Risoluzione 1701, oltre alla condanna per la violazione della sovranità di Damasco.

La ricostruzione dipende soprattutto dalla volontà internazionale: il successo della ricostruzione di Gaza dipende dalla volontà delle grandi potenze, soprattutto dell'Europa, chiamata fare la propria parte.

(*Direttore responsabile Assadakah News)

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