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Quando la pace non esiste più, resta la speranza

  • 5 ore fa
  • Tempo di lettura: 4 min

Cecilia Seppia, Jean-Charles Putzolu – Città del Vaticano

 

(Foto media Vatican)
(Foto media Vatican)

Il Vicario generale del Patriarcato latino di Gerusalemme ai media vaticani racconta il dramma delle popolazioni di Gaza, della Cisgiordania e la presenza costante della Chiesa per sopperire ai bisogni primari.

È tornata la frutta sui banchi dei negozi ma l’80% degli edifici è stato distrutto. C’è fame, disoccupazione, paura. “Forse non subito ma la speranza del Salvatore ci dà forza di credere che qualcosa può cambiare e rinascere”.

La Terra Santa, dove è nato il Principe della pace ha vissuto il terzo Natale di violenza, ma la comunità cristiana non si arrende.

A Jenin, in Cisgiordania, dove due giorni fa, un grave atto vandalico è stato compiuto da giovani islamici radicalizzati che hanno deliberatamente dato fuoco all’albero di Natale.

Due giorni fa è arrivato il Monsignor William Shomali, Vicario generale del Patriarcato latino di Gerusalemme, per inaugurare, benedire il nuovo albero, ricostruito con l’aiuto di tanti fedeli. Ai media vaticani racconta la situazione a Gaza, il dramma e la distruzione che è visibile ovunque, ma anche la resilienza della gente che ha scelto di restare, non solo per assenza di alternative: “Quando sono entrato nella Striscia c’era devastazione ovunque. Si dice che l’80% delle infrastrutture, degli edifici, è andato distrutto, è vero! Forse anche di più. Anche quelli che sono rimasti in piedi e non sono crollati, sono crivellati di colpi di arma da fuoco. Ovunque ci sono i segni della guerra. Finestre spaccate, porte smurate. La vita è diventata ancora più complicata, ma nonostante ciò, la gente ha preferito restare nelle proprie abitazioni o addirittura costruire una tenda accanto alla propria casa distrutta, piuttosto che essere sfollata altrove. Abbiamo visto migliaia di tende, una dopo l’altra, spesso allagate, invase dal fango. Sul mare, sulla spiaggia, si vedono rifiuti ovunque”.


(Foto media Vatican)
(Foto media Vatican)

Le macerie feriscono e sono un monito costante di ciò che fa la guerra, resta anche la paura negli occhi delle persone anche perché il cessate-il-fuoco spesso viene violato. Prosegue Monsignor Shomali “dal giorno della tregua alcuni negozi hanno riaperto, un piccolo segno di normalità, certo, quando diciamo negozio non dobbiamo pensare a un supermercato, sono tende attrezzate per la vendita di merci o piccoli banchi su cui si trovano mele, arance, banane, ortaggi vari. Questo non era possibile durante il conflitto, la gente adesso può fare la spesa, a patto che abbia soldi per comprare, ma manca il lavoro, manca il denaro. C’è poi chi prova a ricostruire con mezzi di fortuna, tutti provano a rinascere”.

 

Il dramma della Cisgiordania

 

A proposito di quello che manca e di cui c’è necessariamente bisogno, il Vicario generale si sofferma sulle condizioni igienico-sanitarie della popolazione di Gaza ma anche della Cisgiordania, altro territorio palestinese interessato dal conflitto dove il 22 dicembre, Israele ha dato il via libera alla creazione di 19 nuovi insediamenti che la Lega araba ha condannato definendoli “una palese sfida alla volontà della comunità internazionale contraria all'espansione coloniale e una violazione del diritto internazionale. Ciò che manca attualmente sono ospedali funzionanti ed equipaggiati, e nei due ospedali in cui siamo stati, abbiamo visto che c’è una forte carenza di medicinali, soprattutto gli antibiotici che sono diventati una merce rara. I riflettori sono stati puntati a lungo su Gaza in questi tempi, ma la Cisgiordania, altro territorio palestinese, ha sofferto molto negli ultimi anni. Soprattutto nel nord della Cisgiordania, a Jenin, Tulkarem”.

Mohamed Eid - Ramallah

 Conclusa la visita pastorale di tre giorni del patriarca Pizzaballa nella Striscia. A colloquio con i media vaticani, il parroco della Sacra Famiglia racconta le difficoltà.

 La presenza della Chiesa

 “È necessario che anche la Chiesa si mobiliti per venire in aiuto delle famiglie che non hanno reddito – aggiunge Monsignor Shomali . Ogni parrocchia deve anche occuparsi dei poveri. E quando non può, si ricorre al Patriarcato latino. Noi abbiamo un comitato di aiuto umanitario sia per pagare gli affitti delle case, sia per pagare l’ospedale, i medicinali, i buoni alimentari, le tasse scolastiche e universitarie. Quando non si ha denaro, si ha bisogno di tutto, si vive in perenne stato di indigenza. Ma il denaro manca anche qui. Dall’inizio della guerra, c’era stato un ritorno dei pellegrinaggi, diciamo tra la fine della pandemia di Covid-19 e fino al 2023, poi, tutto si è fermato di nuovo. Qualche settimana fa c’è stato un piccolo segno di ritorno di alcuni piccoli gruppi, altri verranno dopo Pasqua o prima di Pasqua. Per il momento gli alberghi di Betlemme sono per l’85% vuoti e i dipendenti a casa senza stipendio”.

A monsignor William Shomali chiediamo allora come si fa, come si riesce ad annunciare la nascita del Salvatore, del Principe della pace a tutte queste popolazioni fiaccate dalla fame, dalla guerra, distrutte negli affetti. “Quando la pace non esiste resta la speranza che ci sarà la pace. La speranza dà forza per ricostruire. Abbiamo la speranza che la pace verrà, forse non subito, non domani, nemmeno tra un mese. Ma noi sappiamo che le situazioni che sembrano impossibili diventano possibili con la grazia di Dio. E questa speranza ci riempie".

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