Ricordare Srebrenica per non dimenticare Gaza e Sudan
- 11 lug
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Roberto Roggero* - L’11 luglio è l’anniversario del massacro di Srebrenica del 1995, dove più di 8.000 persone furono trucidate dai reparti serbi comandati dal generale Ratko Mladiç, il tristemente noto “macellaio di Bosnia”, per diretto ordine di Slobodan Miloseviç e Radovan Karadziç, rispettivamente presidenti di Serbia e della Repubblica Serba di Bosnia.
Con la Risolizione n.827 del 1993, l’ONU istituiva il Tribunale Speciale per la Ex Jugoslavia (ICTY), presieduto dal magistrato italiano Antonio Cassese, e i responsabili furono alla fine condannati per crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità. Era la sentenza del 26 febbraio 2007, emessa su richiesta delle autorità di Bosnia Erzegovina contro Serbia e Montenegro.
Il termine genocidio è ancora oggi drammaticamente attuale, nonostante le lezioni della storia, soprattutto per quanto riguarda ciò che sta accadendo nella Striscia di Gaza e in Sudan, dove è in atto la più atroce emergenza dei nostri tempi.
A quanto pare, tribunali, sentenze, giudizi, sono serviti a poco. L’esperienza delle Corti Internazionali di Giustizia, che hanno esaminato e sentenziato i responsabili dei massacri di Bosnia e Rwanda, sono certo serviti allo sviluppo del diritto internazionale, fino alla costituzione dello Statuto di Roma che ha determinato l’istituzione della Corte Penale Internazionale, ma sul lato pratico poco o nulla è cambiato. I massacri continuano, e le Corti Internazionali incontrano sempre più difficoltà nel portare a compimento il proprio compito, dal momento che manca ancora la volontà politica degli stessi firmatari, di fare funzionare fino in fondo tali organismi. Anzi, la situazione pare semmai peggiorata: se a Srebrenica sono state uccise oltre 8.000 persone, a Gaza le vittime hanno superato le 65mila, e certe fonti parlano addirittura di oltre 150mila morti.
Perché oggi è così difficile ammettere che a Gaza è in corso un genocidio?
Anche nei casi della ex Jugoslavia e del Rwanda si sono avute le stesse difficoltà, certo perché si continua a incontrare una opposizione di fondo a usare la parola “genocidio”, per le implicazioni e le responsabilità che comporta: la responsabilità dei governi e dei singoli di fronte alla Convenzione sul Genicidio del 1948 e di fronte alla Corte Penale Internazionale, dal momento che la stessa Corte ha una competenza complementare a quella dei singoli Stati.
La maggior parte degli Stati, inclusa l’Italia, hanno una legge sulla prevenzione e repressione del crimine di genocidio che stabilisce un obbligo di perseguire i responsabili di questi crimini. Eppure, anche di fronte all’evidenza dei fatti, i progressi sono ben pochi.
Nel 2007, la Serbia non fu ritenuta colpevole del genocidio di Srebrenica perché non si ritenne abbastanza forte il collegamento fra Repubblica Serpska e Serbia e Montenegro, ma la Corte Internazionale di Giustizia ritenne che la Serbia fosse responsabile di mancata prevenzione del genocidio di Srebrenica.
Qualsiasi firmatario della Convenzione deve agire per impedire che un genocidio avvenga, e maggiori sono i collegamenti di uno Stato con i presunti responsabili, più forte la responsabilità di prevenire.
Ciò significa che se il crimine viene compiuto da uno Stato con cui si hanno rapporti diplomatici, politici o comunque relazioni bilaterali, in quel caso è d’obbligo agire con ogni strumento possibile.
Oggi accade il contrario, perché i governi coinvolti stanno continuando a inviare armamenti e finanziamenti, e ad acquistare grandi volumi di tecnologia militare, senza interrompere i rapporti (soprattutto commerciali) con lo Stato di Israele, cioè proprio con quello Stato che la Corte Internazionale ha evidenziato essere responsabile di genocidio.
Secondo le norme, lo stesso governo italiano potrebbe essere responsabile di mancata prevenzione, per quanto riguarda il genocidio in corso a Gaza, senza trascurare l’accusa di complicità.
Inoltre, l’esperienza della ex Jugoslavia ci ha anche reso chiaro il significato del concetto di “pulizia etnica”, che però a livello giuridico internazionale, non è ancora sufficientemente registrato nelle norme del diritto e non ancora equiparato al genocidio.
La domanda spontanea è: qual è la differenza fra genicidio e pulizia etnica? Può avvenire un genocidio senza pulizia etnica o viceversa?
Paradossalmente (è incredibile!) la pulizia etnica non è considerata giuridicamente un crimine, ma un concetto “descrittivo”, ovvero: portare una determinata area geografica alla omogeneità per quanto riguarda la popolazione, “espellere” tutti coloro che non fanno parte di una determinata etnia.
Con riferimento a Gaza, secondo il governo sionista israeliano, i palestinesi devono essere espulsi da Gaza, come i musulmani bosniaci dovevano essere cacciati dai territori serbi di Bosnia. Dal punto di vista giuridico, la deportazione forzata è comunque un reato, un crimine di guerra e contro l’umanità. Le stesse cose che hanno subito gli ebrei durante la seconda guerra mondiale, per cui ancora oggi si ricorda la “Giornata della Memoria”, e uno sterminio che gli stessi israeliani stanno compiendo oggi contro la popolazione palestinese.
Se nella pulizia etnica è compresa la distruzione totale del territorio stesso, allora si profila il crimine di genocidio, in quanto esiste l’evidente azione dolosa, l’intenzione di distruggere un gruppo etnico, con il proprio bagaglio religioso, storico e culturale.
La vergogna della comunità internazionale, e soprattutto di quei governi che sono firmatari dello Statuto di Roma, sta nel fatto che ci si intestardisce a non definire certi atti come genocidio, e quindi a fare aumentare la difficoltà giuridica nel fare valere la relativa responsabilità. Tanto più quando certe iniziative vengono anche mascherate con il “diritto alla legittima autodifesa”, che fa emergere anche il discorso dell’aggressione israeliana all’Iran.
Piegare il significato di “legittima difesa” per legittimare e consentire un attacco in prima istanza, e fare apparire l’aggredito come aggressore. Su questa strada si rischia una pericolosa ritorsione del diritto internazionale.
(*Direttore responsabile Assadakah News)







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