Sudan - Dopo il Darfur, la guerra si sposta in Kordofan
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Roberto Roggero* - Le Nazioni Unite hanno lanciato un "forte monito" sui preparativi per l'intensificarsi dei combattimenti nella regione sudanese del Kordofan, chiedendo la fine immediata delle violenze che stanno devastando il Paese.
Non vi sono segni di distensione, al contrario, gli sviluppi sul campo indicano chiari preparativi per un'intensificazione delle ostilità, con tutte le conseguenze che ciò comporta per la popolazione che da tempo soffre e subisce le conseguenze del conflitto.

Il Kordofan è una regione del Sudan con grandi risorse naturali, ed è questa la principale ragione del perché, dopo avere occupato il Darfur, i paramilitari ribelli della Rapid Support Force si stanno preparando a invadere anche questa parte. In particolare i giacimenti di petrolio nella zona di El-Obeid, Heglig e Al-Fula.
In questo teatro di guerra, oltre a fomentare i contrasti tribali, si stanno moltiplicando gli attacchi di droni, mentre le vie di collegamento sono intasate di convogli di armamenti, per rifornire le parti in lotta e garantire la continuità operativa.
Le stazioni petrolifere di Heglig e Al Fula, sono presidiate, perché rappresentano nodi critici di sicurezza energetica regionale, contro le incursioni con i droni Wing Loong-2 e Bayraktar-TB2, che consentono interventi di precisione chirurgica, mentre le brigate dell’esercito regolare effettuano operazioni mirate.

Il recente attacco drone a El-Obeid, che ha causato decine di vittime civili, e mostra come la violazione dei principi di protezione dei civili possa influire sulla sostenibilità operativa.
In Kordofan si sta già combattendo un conflitto ibrido, tutt’altro che statico, dove logistica, strategia e potenza di fuoco sono strettamente collegati. Il controllo dei corridoi, la protezione delle risorse naturali e la capacità di risposta rapida determinano l’equilibrio tra successo tattico e rischi strategici. Il Kordofan, più del Darfur, oggi appare come un vero e proprio laboratorio di conflitto.
La SAF (Sudan Army Force) mantiene in Kordofan ancora diversi presidi e roccaforti, mentre la crisi umanitaria si allarga ogni giorno, e già ha raggiunto dimensioni senza precedenti.
Dopo avere preso il controllo di El-Fasher (Darfur Settentrionale) dove è in atto una devastante pulizia etnica, i paramilitari ribelli della RSF al comando di Mohamed Hamdan DAgalo si volgono al Kordofan, mentre il controllo del governo riconosciuto di Abdel Fattah Al-Buhran sembrano sempre più costrette alla zona centrale e nord-orientale del Sudan. Se il Kordofan dovesse seguire il Darfur, il Paese sarebbe definitivamente diviso in due, come è accaduto in Libia.

Un campanello d’allarme è già il fatto che la RSF ha attaccato e conquistato Barah, nel Kordofan settentrionale, tra i principali snodi decisivi del conflitto. La zona è di grande importanza strategica, perché collegamento diretto fra il Darfur e il territorio controllato dal governo riconosciuto.
Per la RSF, la conquista del Kordofan consentirebbe di consolidare un corridoio strategico dal Darfur verso il centro-est del Paese, mentre per le forze governative è vitale che ciò non accada, per mantenere aperti i collegamenti logistici e scongiurare un progressivo accerchiamento.
Ed è per questo motivo che la città di Barah è essenziale in quanto possibile base per un successivo attacco a El-Obeid, capitale della regione ancora sotto controllo governativo che, se dovesse essere conquistata dalla RSF, aprirebbe la via a una nuova e devastante battaglia per il controllo della capitale, Karthoum.
Il conflitto, quindi, non accenna ad attenuarsi, soprattutto perché continuano i flussi di armamenti alle due parti in lotta. Recenti informazioni avrebbero rivelato una rete di società fantasma che fanno capo alla RSF e che dagli Emirati Arabi funzionerebbero come meccanismo di riciclaggio per procurare risorse e armamenti.
Nel frattempo, cresce la richiesta di un intervento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che potrebbe portare all’adozione di sanzioni, tra cui il congelamento dei beni e il divieto di viaggio per i vertici delle RSF. All’ONU si aggiunge anche la ferma condanna del Consiglio di Pace e Sicurezza dell’Unione Africana, che chiede una inchiesta sui presunti sostenitori della fazione ribelle.
Alla luce di quanto sta accadendo, nel quadro di un disastro umanitario di proporzioni insostenibili, dopo anni di guerra, il conflitto sudanese è entrato in una sorta di stallo. Sebbene abbiano ormai consolidato il controllo in vasti territori, le RSF non riescono ad avanzare verso est, dove le SAF mantengono il proprio potere.
L’esercito governativo, tuttavia, non è ancora riuscito a riconquistare i territori perduti. Intanto è la popolazione civile a pagare il prezzo più alto. Milioni di persone costrette a lasciare le proprie città, mentre altre perdono la vita sotto i bombardamenti e negli scontri che continuano a colpire le aree abitate. Oltre un terzo dei sudanesi ha bisogno di assistenza umanitaria, in quella che a tutti gli effetti è la peggiore crisi del mondo.
(*Direttore responsabile Assadakah News)







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