top of page

Sudan - Le vere cause della guerra

Lorenzo Utile - Dal 15 aprile 2023, la guerra scoppiata in Sudan non accenna a placarsi, fra negoziati che non hanno finora portato nulla di concreto, e una crisi umanitaria senza precedenti. I ribelli paramilitari della Rapid Support Force comandati dal generale Mohamed Hamdan Dagalo sembrano voler portare alle estreme conseguenze il conflitto, allontanando il Paese dal programma che doveva condurre a una scelta popolare, tramite il governo del presidente riconosciuto, Abdel Fattah Al-Burhan. La situazione è degenerata quando Al-Burhan ha annunciato il procedimento di assorbimento della RSF nelle fore nazionali, e a quel punto il vice Dagalo, a capo della stessa RSF, eredi ideologici dei tristemente celebri Janjaweed, responsabili del genocidio in Darfur e oggi nuovamente in attività, ha rifiutato ed è scoppiata la guerra fratricida.

Le risorse locali

Essere alla pari di Burhan, in termini di potere, nel nuovo assetto del Sudan, per Dagalo significa mantenere il controllo di molte attività economiche, in particolare delle miniere d’oro. Più che l’integrazione dei paramilitari nell’esercito, la questione è puramente potere economico, in un organismo da sempre controllato dai militari.

Una crisi annunciata, già segnalata dal “Breaking the Bank Report”, pubblicato nel 2022 dal Centro Studi Avanzati Difesa, organizzazione statunitense senza scopo di lucro specializzata nell’analisi dei conflitti e problemi di sicurezza, connessi a fenomeni come quello sudanese, in cui è praticamente impossibile ricostruire la rete delle attività economiche controllate dai gruppi armati.

Gli interessi terzi

Le cronache internazionali hanno evidenziato nomi la Military Industry Corporation che produce armamenti su licenza, specialmente russa e di recente cinese. In sostanza, il Sudan è di fatto uno dei principali produttori di armamenti del continente africano, dopo Egitto e Sudafrica. Inoltre, notevole fonte di profitto è la gomma arabica, che il Paese produce per il 50% del fabbisogno mondiale, oltre all’industria assemblaggio automezzi, l’import-export di diverse altre risorse e soprattutto il controllo delle miniere d’oro, detenuto in maggior parte dalle RSF e appaltato in buona percentuale al Gruppo Wagner, contando che il Sudan è il terzo produttore del continente dopo Ghana e Sud Africa.

La questione Port Sudan

Altri motivi di contesa, il controllo della Banca di Omdurman, la più importante del Paese e proprietà dell’esercito per l’86%, cui si deve aggiungere l’importante questione della base logistica russa a Port Sudan, in divenire dopo la visita del ministro degli Esteri Sergej Lavrov, che ha incontrato il presidente Al-Burhan e l’antagonista Dagalo, promettendo di sostenere gli sforzi del Sudan per la revoca dell’embargo sulle armi da parte delle Nazioni Unite, che il Consiglio di Sicurezza ONU ha deciso di estendere con 13 voti a favore su 15, con astensione di Mosca e Pechino. In ogni caso, le redini del potere, se passate in mani civili, priverebbero i paramilitari di enormi risorse e privilegi, e ciò spiega la guerra fratricida e insensata in atto. Il tutto a scapito comunque della popolazione, con circa 20 milioni di persone alla fame.

La base navale russa sul Mar Rosso rappresenta anche, nel contesto geopolitico, una minaccia per l’Occidente e un intoppo per la strategia cinese, che ha una base militare non lontano, a Gibuti, dove per altro si trovano presidi francesi, americani, italiani, e di altri Paesi del Golfo. Mosca si è comunque premunita per essere il proverbiale “terzo gaudente fra due litiganti”, poiché una vittoria di Al-Burhan, garantirebbe l’accordo con il Cremlino. Da valutare poi le conseguenze dei Paesi confinante e dell’area del Sahel, non ultimi Libia ed Egitto, dove per altro il generale Al-Burhan ha frequentato l’Accademia Militare. Notevole il ruolo diplomatico nella normalizzazione dei rapporti con Israele, poi sfociati con l’adesione del Sudan agli Accordi di Abramo. Da valutare anche l’apporto e il ruolo di Arabia Saudita, Emirati Arabi e degli altri Paesi del Golfo. Dall’Europa il governo italiano non si esprime chiaramente e non ha ancora preso una posizione definita…

bottom of page