Azerbaijan - Tra pace regionale e critiche sui diritti umani
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Letizia Leonardi (Assadakah News) - Nell’ambito dell’evento “I 30 anni della Costituzione della Repubblica dell’Azerbaijan”, l’ambasciatore azero in Italia, Rashad Aslanov, ha lanciato un messaggio di ottimismo diplomatico sulla costruzione di una pace duratura nel Caucaso. Secondo Aslanov, il conflitto tra Azerbaijan e Armenia appartiene al passato e la regione sta vivendo sviluppi positivi grazie all’agenda di pace promossa dal presidente Ilham Aliyev dopo gli scontri armati del 2020. L’ambasciatore ha citato come tappa simbolica l’incontro dell’8 agosto scorso tra Aliyev, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente degli Stati Uniti, descritto come un momento di apertura verso una nuova pagina di cooperazione regionale. L’Azerbaijan, ha ribadito Aslanov, attende ora l’eliminazione degli ostacoli che ancora impediscono un accordo finale, in particolare una rivendicazione territoriale presente nella Costituzione armena.
Questa visione di pace, tuttavia, convive con serie critiche internazionali e appelli di società civile e difensori dei diritti umani, che denunciano un quadro interno preoccupante in Azerbaijan. Rappresentanti della società civile azera residenti all’estero hanno infatti inviato una lettera urgente alla presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, esprimendo grande preoccupazione per il peggioramento delle condizioni dei diritti umani nel paese.
Secondo il testo dell’appello, in Azerbaijan si sarebbe consolidato un sistema repressivo volto a sopprimere i media indipendenti, l’opposizione politica e la società civile, con oltre 400 prigionieri politici, il numero più alto da quando il Paese è entrato nel Consiglio d’Europa. Tra le organizzazioni e i progetti giornalistici citati come bersaglio delle restrizioni ci sono Meydan TV, Toplum TV, AbzasMedia e Kanal 13; molte testate indipendenti hanno subìto arresti di giornalisti, procedure giudiziarie contro il personale o la sospensione delle loro attività. La repressione delle voci indipendenti è documentata anche da organizzazioni come Amnesty International, che ha denunciato raid, detenzioni e accuse penali contro giornalisti e attivisti critici verso il governo, considerati parte di una più ampia strategia di intimidazione.
Tra i procedimenti giudiziari che hanno attirato l’attenzione internazionale c’è il processo ai giornalisti legati a Meydan TV, con udienze appena avviate a Baku. Il gruppo di cronisti, accusato formalmente di reati economici come presunto “contrabbando” e altre irregolarità finanziarie, accuse che gli osservatori internazionali giudicano pretestuose, rischia fino a 12 anni di reclusione se condannato. Organizzazioni per la libertà di stampa come il Committee to Protect Journalists hanno invitato le autorità azere a ritirare i capi di imputazione e liberare gli imputati, ritenendo il processo un simbolo della repressione in corso.
Allo stesso tempo, figure di spicco dell’opposizione politica, tra cui Ali Karimli, leader del Partito Popolare Azero (“Fronte Popolare”), sono stati arrestati negli ultimi mesi con accuse giudicate da gruppi per i diritti umani come parte di una campagna più ampia di intimidazione e silenziamento degli oppositori.
Il contrasto tra messaggi ufficiali di pace regionale e le denunce sistematiche di violazioni dei diritti umani riflette una narrativa doppia nell’Azerbaijan contemporaneo: da una parte, il governo insiste sulla volontà di “guardare avanti” e costruire stabilità nei rapporti con l’Armenia; dall’altra, gruppi internazionali di monitoraggio documentano un ambiente interno sempre più ostile alla critica libera e all’opposizione politica. In particolare, prosegue a Baku il procedimento giudiziario contro Ruben Vardanyan, ex ministro di Stato dell’Artsakh, in un processo che continua a svolgersi a porte chiuse alla stampa internazionale, con la sola presenza dei media azeri autorizzati ad assistere alle udienze.
Durante l'ultima seduta, Vardanyan e il suo avvocato hanno presentato una serie di istanze procedurali, puntualmente riportate dai media locali. In particolare, la difesa ha depositato due richieste formali. La prima mirava a far dichiarare non credibili le testimonianze di tutti i “testimoni” già interrogati, la seconda chiedeva l’esclusione dal procedimento delle “testimonianze delle vittime e dei loro successori”, ritenute prive di un nesso diretto con l’imputato.
Il giudice ha respinto entrambe le istanze, senza accogliere le argomentazioni della difesa.
Nel corso dell’udienza, Vardanyan ha inoltre chiesto che una serie di documenti fosse allegata agli atti, di poter prendere visione dei volumi del cosiddetto “caso penale” e di convocare in tribunale i testimoni citati all’interno di tali volumi. Il tribunale ha accolto solo in parte le richieste, autorizzando l’inserimento di un documento nel fascicolo processuale ed è stata concessa la possibilità di esaminare i materiali del caso. La questione relativa alla convocazione dei testimoni è stata invece rinviata a una valutazione successiva.
La prossima udienza è stata fissata per il 16 dicembre.
Il procedimento contro Vardanyan si inserisce in un contesto più ampio di forti critiche internazionali sullo stato della giustizia in Azerbaijan, in particolare per quanto riguarda i processi a carico di ex dirigenti dell’Artsakh, attivisti e oppositori politici. L’assenza di osservatori indipendenti e di media internazionali alle udienze continua ad alimentare dubbi sulla trasparenza e sull’effettivo rispetto delle garanzie difensive, mentre le decisioni del tribunale, finora, hanno sistematicamente respinto le principali istanze della difesa.
Un processo che, al di là della forma giuridica, resta al centro di un acceso dibattito politico e diplomatico, soprattutto alla luce delle contemporanee dichiarazioni ufficiali di Baku sulla “pace duratura” nella regione del Caucaso.







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