Economia - Prezzo del petrolio e chiusura di Hormuz
- 15 giu
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Assadakah News - La escalation della situazione fra Iran e Israele, e il disequilibrio nell’intera regione, fino all’estremo sud della penisola arabica, nello Yemen, ha determinato una approfondita analisi, da parte delle autorità di Teheran, a proposito di una eventuale chiusura dell’importantissimo Stretto di Hormuz, punto strategico per il commercio mondiale del petrolio. Evento che riguarda principalmente proprio la Repubblica Islamica dell’Iran, come dichiara da Teheran Esmail Kosari, della Commissione Parlamentare per la Sicurezza. Un provvedimento che potrebbe avere conseguenze determinanti sugli equilibri geoeconomici dell’intero pianeta.
Gli analisti di economia mettono in guardia i mercati, per il fatto che, con un eventuale blocco dello Stretto di Hormuz, il prezzo del petrolio potrebbe subire aumenti incontrollati fino a toccare i 140 dollari al barile, se l’attuale situazione fra Israele e Iran dovesse subire una ulteriore escalation.

Da considerare poi che il prezzo del petrolio è già in fase ascendente, date le condizioni internazionali, e per il 2026 la previsione è un innalzamento medio di circa 60 dollari, considerato ancora sopportabile dal mercato, che conta non poco sull’efficacia dell’azione diplomatica internazionale. D’altra parte, ad oggi il prezzo del greggio ha già mostrato variabilità abbastanza preoccupanti, stabilizzandosi sui 74 dollari con un aumento dell’8,6%, e il Brent a 75 dollari, con un aumento dell’8%.
La chiusura del tratto di mare fra i Paesi del Golfo, su cui si affacciano Iran, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita, Bahrain, Qatar, Emirati Arabi e Oman, è il crocevia mondiale del greggio commerciato via mare, con un volume del 30% del petrolio di tutto il mondo, e un transito di oltre 20 milioni di barili al giorno. E oltre al petrolio sono anche il LNG (gas naturale liquefatto) che dal Qatar raggiungono Europa, Asia e Cina, con Pechino che è uno dei maggiori clienti per quanto riguarda il petrolio iraniano (circa 1,5 milioni di barili al giorno). Se questi traffici si interrompessero, la Cina sarebbe costretta a rifornirsi altrove, a prezzi più alti con conseguenze a catena per l'inflazione a livello planetario.
Gli sviluppi della crisi Iran-Israele hanno poi una ricaduta diretta sulla politica economica della Federal Reserve, la banca centrale americana, che il 18 giugno dovrà decidere se tagliare o mantenere invariati i tassi d'interesse, proprio in vista di una escalation dei prezzi che avrebbe inevitabili ripercussioni sull'economia americana e quindi mondiale. La palla al momento rimane nelle mani delle autorità della Repubblica Islamica dell’Iran.







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