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FNSI - "Morire per informare”

Talal Khrais (Assadakah Roma News) - L'informazione che documenta i crimini di guerra da sempre paga un prezzo altissimo perché gli Stati che commettono crimini, compresi quelli che si dichiarano democratici, non vogliono essere smascherati e non tollerano la libera informazione. "Morire per informare" è il tema dell'incontro di ieri, 9 giugno, presso la sede della FNSI promosso dalla Rete NoBavaglio - Liberi di essere informati, nel nome dei giornalisti Raffaele Ciriello, ucciso a Ramallah il 13 marzo 2002 e di Shireen Abu Akleh, uccisa a Jenin l'11 maggio 2022, tra i tantissimi colleghi uccisi mentre svolgevano il loro lavoro.

Hanno partecipato in prima persona quasi tutti gli ambasciatori arabi in Italia, Raffaele Lorusso, segretario FNSI; Tony Abu Akleh, fratello di Shireen; Nasser Abu Baker, segretario dei giornalisti palestinesi; Guido D'Ubaldo, presidente Ordine dei giornalisti del Lazio, Luisa Morgantini, già Vice Presidente Parlamento Europeo; Abeer Odeh, ambasciatrice di Palestina in Italia; Tina Marinari, coordinatrice campagne Amnesty International Italia; Tano D'Amico fotoreporter, Michele Giorgio corrispondente in Palestina del Manifesto; Fabrizio De Sanctis, presidente ANPI Roma; Vincenzo Vita, già presidente dell'Associazione Italia-Palestina.

Presenti varie associazioni tra cui: Assadakah, Speciale Eurasia, Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese, gli amici della Mezzaluna Rossa Palestinese, Assopace Palestina e Fotografi Senza Frontiere. Sono stai realizzati collegamenti con giornalisti in Palestina contributi video e audio.

"Lavorare in Palestina per i giornalisti è una corsa a ostacoli. Come sappiamo, qualsiasi spostamento richiede un permesso che viene emesso dalle autorità israeliane, ed è difficile e raro ottenerlo. Senza, le persone vengono fermate a ogni posto di blocco. E' difficile anche per i reporter che lavorano per grandi media e che ottengono i permessi perché potrebbero ritrovarsi in mezzo a una sparatoria o un blitz delle forze israeliane e vengono scambiati per un civile e subiscono violenze fisiche o verbali.

Dal 2000 ad oggi sono 55 i reporter uccisi da pallottole sparare dai soldati israeliani dal 2000, come riferiscono Reporters Sans Frontieres e il Comitato Protezione Giornalisti (CPJ)". A illustrare questa situazione all'agenzia Dire Nacera Benali, giornalista algerina della Rete NoBavaglio - Liberi di essere informati durante la conferenza stampa “Morire per informare”, in collaborazione con la Federazione Nazionale Stampa Italiana. Per Benali, i cronisti caduti nei Territori palestinesi per fare il loro lavoro "è un fatto spaventoso, ed è esattamente quello che è accaduto a Shireen Abu Akleh", l'inviata di Al Jazeera uccisa lo scorso 11 maggio nel campo profughi di Jenin dove si trovava con dei colleghi per seguire un'operazione delle forze militari israeliane, protagonista dell'incontro all'FNSI.

"Come Rete NoBavaglio- ha proseguito Benali- sosteniamo la libertà di espressione nonché il diritto dei cittadini ad essere informati, in Italia e all'estero. Per questo chiediamo che l'uccisione della collega Abu Akleh non passi impunita, come avvenuto tante altre volte, perché significherebbe dare carta bianca ai militari: qualsiasi soldato potrà sentirsi libero di sparare nella certezza che non subirà nessuna conseguenza per le proprie azioni, e noi non lo vogliamo. Vogliamo invece giustizia per Shireen e la sua famiglia".

"La FNSI sostiene la battaglia dei giornalisti palestinesi affinché sia aperta una inchiesta sulla morte dell'inviata Shireen Abu Akleh, per rendere giustizia a lei e ai suoi famigliari. Riteniamo che nei Territori Palestinesi occupati non ci sia sicurezza né per i giornalisti palestinesi né per nessun altro che voglia documentare quello che avviene. E' una situazione insostenibile. La comunità internazionale deve realizzare ogni sforzo possibile per raggiungere un accordo diplomatico con Israele, che consenta ai palestinesi di avere il loro Stato". Lo ha detto Raffaele Lorusso, segretario generale FNSI, a margine della conferenza stampa promossa dalla Rete NoBavaglio - Liberi di essere informati.

Il tema della pacifica convivenza e la soluzione della questione palestinese deve continuare ad occupare un posto di prima importanza nelle agende politiche e diplomatiche. Ha continuato Raffaele Lorusso, "Il Congresso della Federazione internazionale dei giornalisti che si è svolto in Oman si è aperto in ricordo di Shireen Abu Akleh e ha visto tutti i giornalisti del mondo chiedere con forza la verità e che si faccia luce sulla sua morte", ha proseguito Lorusso, paragonando la morte della corrispondente di "Al Jazeera" alla storia di Raffaele Ciriello, "ucciso nei territori mentre ne documentava l'occupazione".

"Posso testimoniare situazioni di pericolosità alle quali sono esposti i nostri colleghi palestinesi. Nel novembre del 2017 ci fu una riunione del comitato esecutivo della Federazione internazionale dei giornalisti a Ramallah e in quella occasione, per manifestare la vicinanza ai colleghi palestinesi, organizzammo una marcia simbolica avvicinandoci al varco di Gerusalemme est ma siamo stati allontanati con gas lacrimogeni", ha ricordato Lorusso, raccontando un episodio "che racconta la situazione dei colleghi nei Territori palestinesi".

"La condizione deve continuare a essere illuminata e sostenuta da noi media occidentali. Io continuo a essere convinto che una soluzione sia ancora possibile e che quella che da sempre è la posizione italiana sul conflitto arabo israeliano sia ancora fattibile, cioè quella di garantire a due popoli e due Stati di vivere pacificamente", ha concluso.

"Mia sorella Shireen è stata uccisa perché reprimere le voci che testimoniano le violenze vissute dai palestinesi rientra nella politica di Israele. E' la stessa logica che ha portato alla morte di Raffaele Ciriello. La mia famiglia però, avrebbe voluto vedere una prese di posizione più forte da parte della comunità internazionale, per spingere Israele a portare davanti alla giustizia gli autori di questo omicidio".

Tony Abu Akleh è il fratello di Shireen Abu Akleh, storica giornalista di Al Jazeera colpita a morte da colpi d'arma da fuoco l'11 maggio scorso mentre con altri sei giornalisti seguiva un'operazione militare delle forze israeliane nel campo profughi di Jenin, in Cisgiordania. Abu Akleh è intervenuto in video collegamento da Gerusalemme nel corso dell’incontro.

A citare queste cifre è Tina Marinari, coordinatrice campagne di Amnesty International Italia, che ha aggiunto: "Ostacolare il lavoro della stampa è parte di quel regime di apartheid che Israele ha messo in piedi contro i palestinesi, e che costituisce un crimine contro l'umanità". La responsabile Amnesty considera grave anche la situazione di impunità, dal momento che sulla morte di Abu Akleh le autorità di Israele hanno deciso che non apriranno un'inchiesta. E' per questo che il sindacato dei giornalisti palestinesi ha annunciato un'iniziativa legale alla Corte penale internazionale dell'Aja, come ha confermato il segretario generale Nasser Abu Bakr, che ha aggiunto: "documenti, video e testimonianze raccolte dimostrano che la morte di Shireen è stata un'esecuzione da parte dell'esercito israeliano, che chiude sistematicamente la bocca a chi racconta la verità". Sia l’Ambasciatrice Palestinese Abeer Aodeh che Luisa Morgantini hanno ribadito la necessità che questa solidarietà si trasforma in azione presso Corte Internazionale di giustizia.

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