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Gaza - La distorta comunicazione che sostiene il genocidio

Roberto Roggero - Com’è immaginabile nella tragedia che si sta svolgendo nella Striscia di Gaza, in Cisgiordania e in numerosi altri scenari, il linguaggio della comunicazione e della propaganda ha un ruolo fondamentale nella ricerca di consenso.

Di esempi ce ne sono a non finire, come quel celebre slogan diffuso da Radio Télévision Libre des Mille Collines, una emittente radiofonica del Rwanda, che afferma “I Tutsi sono scarafaggi da eliminare, uccidiamoli tutti!”, ovvero l’incitamento all’odio etnico, in particolare contro l’etnia Tutsi da parte degli Hutu.

Un motivo ripreso vergognosamente dall’ex capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, generale Rafael Eitan, il quale nel 1983 ha affermato “Gli arabi sono come scarafaggi drogati chiusi in una bottiglia”, con chiaro riferimento ai palestinesi, nel corso di un intervento di fronte al Parlamento di Tel Aviv.

In Rwanda, l’emittente in questione ha operato solo per un anno circa, fra il 1993 e il ’94, ma le conseguenze dell’incitamento all’odio etnico ha contribuito a fare esplodere quella tragedia che tutti conosciamo, ovvero una guerra fratricida, dove gli Hutu si sono resi responsabili di un vero e proprio genocidio nei confronti dei Tutsi.

Fra le due cose non c’è grande differenza, in quanto la massiccia propaganda israeliana, sostenuta dalla ipocrisia americana, che augura la soluzione a due stati solo a parole, mira esplicitamente alla disumanizzazione del popolo palestinese.

Molti sembrano dimenticare che, molto prima della guerra di Gaza, scoppiata lo scorso 7 ottobre, e anche molto prima della fondazione dello stesso Israele nel 1948, il discorso sionista è sempre stato quello del razzismo, della disumanizzazione, della cancellazione e della eliminazione fisica. Se si seleziona a caso un qualsiasi periodo della storia israeliana, per esaminare discorso politico di politici, istituzioni e persino intellettuali, si dovrebbe trarre la stessa conclusione: Israele ha sempre costruito una narrazione di incitamento e odio, sostenendo la necessità del proprio “spazio vitale” (triste richiamo storico) e una costante tesi per il genocidio dei palestinesi. Solo di recente, questo intento genocida sta diventando evidente a molte persone.

“Esiste il rischio di genocidio contro il popolo palestinese”, hanno affermato gli esperti delle Nazioni Unite, in una dichiarazione del 19 ottobre, un rischio che non deriva certamente dagli eventi recenti.

In effetti, azioni politiche o militari efficaci in qualsiasi parte del mondo difficilmente hanno luogo senza un edificio di testo e linguaggio che faciliti, razionalizzi e giustifichi tali azioni. La percezione che Israele ha dei palestinesi è un perfetto esempio di questa affermazione.

Prima della fondazione di Israele, i sionisti negavano l’esistenza stessa dei palestinesi, e molti lo fanno ancora oggi. Quando ciò avviene, diventa logico trarre la conclusione che Israele, nella sua mentalità collettiva, non si ritiene moralmente colpevole per l’uccisione di chi non esiste. Anche quando i palestinesi entrano nel discorso politico israeliano, diventano “animali assetati di sangue”, “terroristi” o “scarafaggi drogati in bottiglia”.

Sarebbe però troppo comodo etichettare il discorso semplicemente come “razzista”, perché sebbene il razzismo sia certamente alimentato in questo contesto geopolitico, questo senso di supremazia razziale non esiste semplicemente per mantenere un ordine socio-politico, in cui gli israeliani si considerano padroni e i palestinesi sono considerati servi. È molto più complesso.

Appena i combattenti palestinesi provenienti da Gaza hanno attraversato il confine meridionale di Israele, uccidendo centinaia di persone, nessun politico, analista o intellettuale israeliano sembrava interessato al contesto di questo atto pur sempre coraggioso. Il linguaggio utilizzato dagli israeliani, e da molti americani, dopo il 7 ottobre, ha creato l’atmosfera necessaria per la risposta israeliana che è seguita.

Secondo quanto riferito, il numero di palestinesi uccisi nei primi otto giorni della guerra israeliana contro Gaza ha superato il numero di vittime uccise durante la più lunga e distruttiva guerra israeliana contro la Striscia, soprannominata “Protective Edge”, nel 2014. Secondo DCI-Palestina, ogni 15 minuti un bambino palestinese viene ucciso e, secondo il Ministero della Sanità palestinese, oltre il 70% delle vittime a Gaza sono donne e bambini.

Per Israele nessuno di questi fatti ha importanza. Nella mente del presidente israeliano Isaac Herzog, spesso percepito come moderato, la retorica secondo cui i civili non sono coinvolti non è assolutamente vera. Sono obiettivi legittimi, semplicemente perché avrebbero potuto insorgere, avrebbero potuto combattere contro quel regime malvagio, ha dichiarato riferendosi ad Hamas. Pertanto la responsabilità è di un’intera nazione, secondo Herzog, che ha promesso di vendicarsi.

Ariel Kallner, membro del partito Likud del primo ministro Benjamin Netanyahu, ha spiegato l’obiettivo di Israele dietro la guerra di Gaza: “In questo momento, un solo obiettivo: Una Nakba che oscuri quella del 1948”.

Lo stesso sentimento è stato espresso dal ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, responsabile di tradurre la dichiarazione di guerra di Israele in un piano d'azione: "Stiamo combattendo contro delle bestie, e agiremo di conseguenza, quindi non ci saranno né elettricità, né cibo, né carburante. Tutto chiuso". E naturalmente migliaia di civili morti.

Poiché le massime autorità politiche israeliane hanno già dichiarato che tutti i palestinesi sono collettivamente responsabili degli eventi del 7 ottobre, ciò significa che tutti i palestinesi sono, secondo la valutazione di Gallant, “bestie che non meritano alcuna pietà”.

Prevedibilmente, i sostenitori di Israele negli Stati Uniti e in altri paesi occidentali si sono uniti al coro, utilizzando anche il linguaggio più violento e disumanizzante, cementando così il discorso politico israeliano tradizionale tra la gente comune.

La candidata alla presidenza degli Stati Uniti, Nikki Haley, ha dichiarato a Fox News il 10 ottobre che l’attacco di Hamas non era solo contro Israele ma è stato “un attacco all’America, quindi Netanyahu: finiscili tutti!”.

Sebbene il presidente Joe Biden, e il segretario di Stato Antony Blinken, non abbiano usato le stesse identiche parole, entrambi hanno fatto paragoni fra gli eventi del 7 ottobre e gli attacchi terroristici dell’11 settembre. Il significato dietro questo non richiede particolari interpretazioni. Da parte sua, il senatore statunitense Lindsey Graham ha radunato i conservatori e religiosi americani, dichiarando: “Qui siamo in una guerra religiosa. Bisogna fare ciò che va fatto: ripulire tutto”.

Israele sta sterminando la popolazione civile di Gaza, e radendo al suolo migliaia di case, moschee, ospedali, chiese e scuole. In effetti, un doloroso episodio della Nakba.

Da “I palestinesi non esistevano” di Golda Meir (1969) a “I palestinesi sono bestie che camminano su due gambe” di Menachem Begin (1982), a “I palestinesi sono come animali, non sono umani” di Eli Ben Dahan (2013) a numerosi altri, il discorso sionista rimane invariato, e linguaggio e l'azione sono in perfetto allineamento

Forse è giunto il momento di iniziare a prestare attenzione a come il linguaggio di Israele viene tradotto in un vero e proprio genocidio sul campo. Purtroppo, per migliaia di civili palestinesi, questa consapevolezza arriva troppo tardi.

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