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Sudan - Fuga di massa da El-Fasher, scontri in Kordofan

  • 16 minuti fa
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Roberto Roggero* - La situazione nel Darfur settentrionale è sempre più drammatica: l’ONU lancia un nuovo allarme umanitario soprattutto per il territorio di El-Fasher, dove la quasi totalità delle strutture sanitarie è collassata, la popolazione è preda di cronica mancanza di cibo. E oltre 100mila persone sono state costrette a evacuare la città, come confermato da Stephane Dujarric, portavoce del Segretariato delle Nazioni Unite e dai resoconti delle poche organizzazioni umanitarie ancora operanti.

Da quando i paramilitari ribelli della RSF hanno conquistato la capitale del Darfur settentrionale, le condizioni della popolazione si stanno aggravando giorno dopo giorno.

La Ong Save the Children denuncia le condizioni di estrema emergenza per milioni di persone, soprattutto per bambini e madri in gravidanza, colpiti da malnutrizione acuta e sottoposti a violenza.

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Nonostante l’arrivo di 40 tonnellate di materiale sanitario, con un aereo cargo atterrato a Port Sudan (e in viaggio attraverso il Paese verso Tawila e il Darfur), sono necessarie ben altre quantità di aiuti, come confermato anche da Medici Senza Frontiere, che si sta occupando degli sfollati di El-Fasher dopo un assedio e una battaglia durati oltre 500 giorni. Ulteriori testimonianze sull’emergenza Sudan arrivano da Amnesty International, con un rapporto che denuncia ancora crimini di guerra contro i civili commesse dalle RSF ad El-Fasher, e da Act Alliance e Caritas International, che in Sudan è diretta da Alistair Dutton, il quale ha evidenziato la assoluta necessità di aprire corridoi umanitari e negoziati di pace: “Tutti i servizi base sono collassati, le case vengono deliberatamente attaccate e le persone assassinate sul posto. Si tratta ora della più grande e grave catastrofe umanitaria al mondo, con 12 milioni di sfollati e altrettanti milioni di persone in urgente bisogno di assistenza salvavita. È necessario intervenire immediatamente per arginare i livelli catastrofici di violenza contro le donne e il trauma tra i civili, gli operatori umanitari e gli assistenti”.

La popolazione del Sudan sta subendo da ormai troppo tempo una inusitata ondata di odio etnico, religioso, sociale. A causa della guerra viene negato il diritto all’istruzione e quasi 7 milioni di bambini sono esclusi dall’educazione scolastica. Una intera generazione allo sbaraglio, se non si corre ai ripari prima che sia troppo tardi.

Nel frattempo, come non pochi avevano previsto, i combattimenti si stanno spostando da Darfur al Kordofan, dove l’esercito regolare ha respinto un massiccio attacco dei ribelli della RSF (che controllano già la maggior parte del Kordofan occidentale, compresa la capitale dello stato El-Fula e le città di Al-Muglad e En-Nahud), avvenuto dopo che il comandante dei paramilitari, Mohamed Hamdan Dagalo, ha dichiarato di avere accettato una tregua di 90 giorni, proposta dal Gruppo Quad (USA-Egitto-Emirati Arabi-Arabia Saudita).

I ribelli hanno infatti attaccato in forze il quartier generale della 22a Divisione SAF a Barbanusa, nonostante i tentativi dei capi delle comunità tribali locali, nell’area di Heglig, ricca di giacimenti petroliferi, al confine con il Sud Sudan, territorio ancora sotto controllo governativo ma seriamente minacciato.

Il presidente de facto Abdel Fattah Al-Buhran, da parte sua, ha respinto la proposta del Gruppo Quad in quanto comprende gli Emirati Arabi, accusati di sostenere la RSF, oltre al fatto che il documento non comprende il disarmi delle milizie ribelli e impone lo scioglimento delle agenzie di sicurezza.

Al Burhan ha commentato la proposta statunitense in occasione di un incontro tenuto con i più alti ufficiali dell’esercito a Khartum, accompagnato dal generale Yasir al Atta e dal generale Ibrahim Jabir, suoi assistenti, nonché dal capo di Stato maggiore dell’esercito e dai suoi vice, dai vicedirettori della polizia e del Servizio di intelligence generale e da un rappresentante delle Forze congiunte. Durante l’incontro, Burhan ha avvertito che se il processo di mediazione continuerà in questa direzione, l’esercito lo considererà “non neutrale”, accusando l’inviato statunitense di tentare di imporre una linea politica al Paese.

In precedenza Trump aveva fatto sapere che gli Stati Uniti stanno lavorando per mettere fine al conflitto in Sudan, su precisa richiesta del principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, e di altri leader dei Paesi della Regione.

(*Direttore responsabile Assadakah News)

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