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Gaza - La situazione diplomatica

Assadakah News Agency - Nel 35° giorno di scontri, le vittime fra la popolazione palestinese sono salite a oltre 11mila, quelle israeliane circa 1.400. Hamas sarebbe ancora in possesso di almeno 240 ostaggi, per i quali sarebbero in corso incontri diretti.

Gli Stati Uniti e gli alleati più stretti stanno cercando stabilizzare Gaza. Il segretario di Stato, Antony Blinken, ne ha parlato nella sessione plenaria del G7 che si è conclusa ieri, 8 novembre, a Tokio. Il tema è stato esaminato in diversi incontri bilaterali con i ministri degli Esteri, compreso Antonio Tajani. Blinken e gli altri partner hanno concordato su uno schema di massima che sarà ora discusso con israeliani, palestinesi e con gli interlocutori della comunità internazionale disposti a collaborare per risolvere la crisi.

La soluzione diplomatica può avere una qualche possibilità di successo se si riesce a evitare l’allargamento del conflitto. Blinken ha ribadito che gli americani si impegneranno a fondo, cercando anche di coinvolgere i Paesi arabi moderati Nello stesso tempo, però, è necessario che Israele salvaguardi la popolazione civile. Solo a questo punto potrebbe essere possibile una seconda fase, che comprende una tregua immediata per consentire l’afflusso di cibo e medicine nel territorio assediato. È una mossa umanitaria, ma anche dall’importante significato politico, poiché distingue tra i terroristi asserragliati nei tunnel e la popolazione con cui si dovrà costruire il futuro di Gaza.

Le truppe israeliane dovranno lasciare la Striscia appena concluse le operazioni. Il governo israeliano non dovrà avere alcun ruolo nell’amministrazione civile. Ancora una volta il messaggio che si vuole forzatamente e ipocritamente imporre è chiaro: Israele non avrebbe condotto una guerra di occupazione, ma di autodifesa. Si sta discutendo sul periodo di transizione. Alcuni Paesi, come l’Italia, propongono che la primissima fase sia gestita da un organismo sovranazionale. Il pensiero va all’Onu, già presente a Gaza con diverse agenzie. È un punto ancora in discussione e disseminato di incognite. Il coinvolgimento dell’Onu richiede il via libera del Consiglio di Sicurezza. Serve quindi il consenso, non ancora acquisito, di Russia e Cina. Blinken spinge perché sia rimessa in gioco l’Autorità Nazionale Palestinese che oggi amministra la Cisgiordania. Tuttavia l’organo di autogoverno dei palestinesi si è dimostrato a dir poco inefficace ed è periodicamente investito da accuse di corruzione. Mahmoud Abbas (Abu Mazen) non riscuote troppe simpatie a Gaza. Anche per questo si sta pensando a un periodo di transizione neutrale, sotto egida Onu: occorre guadagnare tempo per trovare una leadership o almeno un gruppo dirigente palestinese più credibile.

Come soluzione di base, l’ANP potrebbe assumere il controllo di Gaza e della Cisgiordania, riunificando i territori palestinesi. L’obiettivo politico è tornare il prima possibile allo spirito di Oslo, cioè agli accordi che nel 1993 introdussero la formula dei due popoli, due Stati. Per Blinken occorre dare il via ai negoziati già ora, anche con i carri armati israeliani sulle strade di Gaza. È una svolta radicale rispetto alla posizione dell’amministrazione di Donald Trump che aveva assecondato l’emarginazione politica dei palestinesi teorizzata e praticata dal governo di Benjamin Netanyahu.

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