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Il metodo gesuita per gestire i “casi difficili”

Letizia Leonardi (Assadakah News) - La voce del professore Georges Henri Ruyssen è stata zittita, lo scorso 18 giugno, come Monsignor Gabriel Quicke, rettore della chiesa e promotore dell’incontro, ha confermato con amarezza. Il risultato? Un’altra voce che si spegne, un’altra conferenza che non si fa, un altro silenzio che pesa come un macigno. Il 19 febbraio dello scorso anno una lettera firmata dal rettore gesuita Padre David Nazar compare all’albo dell’Istituto. Poche righe, fredde e affettate.

Padre Georges Henri Ruyssen, gesuita belga, decano della Facoltà di Diritto Canonico Orientale, viene rimosso con effetto immediato. Nessun passaggio di consegne, nessuna transizione. La motivazione ufficiale? Problemi di salute. Ma l’epurazione avviene nel cuore dell’anno accademico, all’inizio del secondo semestre, senza nemmeno il tempo di nominare un successore. Troppo rapida, troppo improvvisa. Il sapore non è quello di una decisione meditata, ma di un ordine piovuto dall’alto.

Un caso isolato? Tutt’altro.

La rimozione di padre Ruyssen non è un’eccezione. È il riflesso di una strategia collaudata all’interno della Compagnia di Gesù fatta, a seconda dei casi, di spostamenti, silenzi e lettere d’addio.

A proposito di silenzi ci sono i casi di Marko Rupnik, esploso pubblicamente a partire dal dicembre 2022, anche se i fatti a lui contestati risalgono a molti anni prima e quello di Padre Keith Pecklers SJ, liturgista americano accusato di molestie. Nel 2010, un’accusa pubblica lo ha riguardato per un episodio di molestia avvenuto quando era minorenne, intorno ai 17 anni, durante il seminario. La notizia è stata ripresa nel 2019, quando la Provincia nordorientale della Compagnia di Gesù (USA) ha pubblicato un elenco di circa 50 gesuiti ritenuti “credibilmente accusati” di abusi sessuali. Keith Pecklers risulta incluso in quell’elenco, come documentato in vari report e articoli di stampa (es. Catholic News Agency, Crux, AP News).e incluso nella lista dei gesuiti “credibilmente accusati” negli USA. Anche lui mai rimosso del tutto, solo ricollocato sotto l’ala protettiva di Padre Antonio Spadaro.  E invece tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024 padre Germano Marani, è stato “spedito” fuori Roma per le sue omelie giudicate troppo filo-putiniane, inopportune in un contesto in cui molti studenti erano ucraini.

Tutti casi diversi, certo. Ma legati dallo stesso filo rosso: il tentativo di nascondere il problema e non affrontarlo in casi di abusi. Spostare, allontanare, dimenticare quando diventano scomodi.

Una crisi morale prima che istituzionale

Il rischio più grave non è quello di perdere un decano, un docente o un conferenziere. È quello di perdere la credibilità. Perché l’istituzione che non è in grado di dare risposte chiare, che tace quando dovrebbe parlare, che nasconde quando dovrebbe illuminare, finisce per tradire la propria stessa vocazione.

E nel caso di padre Ruyssen, c’è qualcosa di ancora più amaro: la sua voce avrebbe potuto rendere giustizia a un popolo dimenticato, l’armeno. Avrebbe potuto rompere il muro dell’indifferenza. Ma è stata messa a tacere, per motivi che nulla hanno a che fare con il Vangelo, e tutto con il potere.

Il Pontificio Istituto Orientale è stato fondato nel 1917 da papa Benedetto XV, lo stesso pontefice che ha tentato, inascoltato, di fermare l’ecatombe della Grande Guerra. A lui si deve anche la creazione della Congregazione per le Chiese Orientali. Era un’idea profetica: creare un ponte tra Occidente e Oriente, tra Roma e le terre martoriate del cristianesimo antico. Ma oggi quel ponte sembra più fragile che mai.

(Foto de La Nuova Bussola Quotidiana)

 

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