top of page

Il volto accademico della propaganda azera in Italia

Letizia Leonardi (Assadakah News) - Negli ultimi anni, un fenomeno silenzioso ma pervasivo si è insinuato nelle aule universitarie e nelle colonne dell’informazione italiana: una narrativa filo-azera costruita con precisione e veicolata da accademici, pubblicisti e think tank ben inseriti nei circuiti istituzionali. Non si tratta solo di opinioni controverse o di analisi di parte: parliamo di una strategia strutturata, spesso mascherata da ricerca accademica, che ripropone parola per parola i messaggi del regime di Baku.

Convegni, riviste giuridiche, collaborazioni internazionali e perfino eventi ospitati in sedi ecclesiastiche di prestigio sono oggi teatro di una battaglia invisibile: quella per riscrivere la storia del Caucaso e legittimare l’azione azera, a scapito della memoria armena e della verità storica. Un’indagine tra le pieghe del mondo universitario italiano svela nomi, connessioni, responsabilità.

E solleva una domanda urgente: quando la cattedra diventa cassa di risonanza della propaganda, chi tutela il valore della conoscenza? Negli ultimi anni si è consolidata in Italia una fitta rete di contatti, pubblicazioni e convegni che, pur presentandosi come iniziative accademiche o culturali, replicano in modo quasi speculare la propaganda ufficiale dell’Azerbaijan. Un fenomeno che si è intensificato soprattutto dopo la guerra del 2020 nel Nagorno-Karabakh, ma le cui radici affondano più lontano, nel terreno fertile della caviar diplomacy, la diplomazia delle lusinghe e delle relazioni dorate.

Non si tratta più solo di comunicati ufficiali e ambasciate: la penetrazione si è fatta sistemica, sottile, accademicamente travestita. In questo quadro emerge anche Stefano Vernole, vicepresidente del Centro Studi Eurasia-Mediterraneo, autore di alcuni contributi sull’Azerbaijan in cui si offre una lettura delle posizioni di Baku, anche rispetto alla questione del Nagorno-Karabakh. Sebbene non si tratti di articoli militanti, si riscontra un'assenza di riferimenti critici alle violazioni denunciate da ONG internazionali e una narrazione che tende a riflettere il punto di vista azero. Vernole, da parte sua, respinge qualsiasi accusa di essere parte di una strategia o di promuovere la propaganda del regime azero.

A questo si affianca il ruolo di accademici come Pietro Longo, professore associato dell’Università di Napoli L’Orientale, che è arrivato a ricoprire il ruolo di direttore di ricerca del Topchubashov Center, think tank con sede a Baku noto per la sua vicinanza al regime di Ilham Aliyev. Longo ha partecipato a numerose iniziative pubbliche e conferenze organizzate in Azerbaijan e finanziate da istituzioni locali, spesso senza esplicitare la natura politica degli enti ospitanti.

Nel panorama dei sostenitori più assidui della narrativa azera si inserisce anche Emanuele Schibotto, editorialista ed esperto di geopolitica, che ha collaborato con la rivista "Il Nodo di Gordio" e che, nel tempo, ha costruito un discorso centrato sulla “modernizzazione” azera, evitando sistematicamente ogni riferimento alla censura, alla repressione del dissenso e al problema dei prigionieri di guerra armeni detenuti illegalmente.

Alcune riviste accademiche italiane hanno pubblicato testi a senso unico, in cui l’Azerbaijan è dipinto come paese modello. Nel 2022, la rivista giuridica dell’Università Roma Tre ha ospitato un articolo che negava la storicità della presenza armena nel Nagorno-Karabakh, attribuendo i monasteri medievali armeni a un’ipotetica “Albania caucasica”, una teoria cara alla propaganda azera e priva di riscontri seri nella comunità accademica internazionale.

L’operazione culturale si estende anche all’organizzazione di convegni: a Roma, Milano, Napoli, sono state ospitate conferenze che, sotto l’apparente neutralità accademica, hanno di fatto offerto una piattaforma alla visione revisionista dell’Azerbaijan. In questi eventi, a volte patrocinati da enti universitari, non viene mai dato spazio alla controparte armena. L’obiettivo è chiaro: riscrivere la storia, legittimare l’occupazione e presentare l’Azerbaijan come paese aperto, tollerante, persino cristiano, facendo leva su resti archeologici albanesi che Baku ora presenta come propria eredità cristiana.

Accanto ai nomi più noti, emergono anche figure come Valentina Chabert e Daniel Pommier Vincelli, che rappresentano un tassello fondamentale nella tessitura di questa rete accademica filo-azera in Italia.

Valentina Chabert, dottoranda presso l'Università La Sapienza e caporedattrice della rivista italiana Opinio Juris – Law & Politics Review , è stata criticata per aver sostenuto il controverso concetto di Azerbaijan occidentale, riferito al territorio della Repubblica d'Armenia in occasione di eventi organizzati dall'Azerbaijan. La sua presenza non è mai casuale: si inserisce infatti in un circuito che mira a legittimare la narrativa ufficiale azera attraverso una veste di rigore accademico. Partecipazioni come il Forum “Karabakh” e altre iniziative che, sotto il velo di un dialogo culturale, nascondono la volontà di riscrivere la storia del Caucaso, minimizzando o negando la presenza armena nella regione.

Daniel Pommier Vincelli, professore associato di Relazioni Internazionali presso l'Università ADA in Azerbaijan, autore di importanti pubblicazioni sulla storia e le relazioni internazionali azere, contribuisce a una rappresentazione del Paese spesso orientata verso una visione positiva e propositiva, che trascura sistematicamente i numerosi rapporti e documenti internazionali che denunciano violazioni dei diritti umani e distruzione del patrimonio armeno. Le sue opere, pur rigorose nella forma, finiscono per rafforzare il discorso politico di Baku, agendo come una sorta di megafono accademico della “diplomazia del caviale”.

In questo intreccio di nomi, eventi e pubblicazioni, si delinea una strategia precisa: l’accademia, invece di essere il luogo della ricerca libera e critica, rischia di trasformarsi in un palcoscenico dove si recitano copioni scritti altrove, con conseguenze profonde per la credibilità del sapere e per il rispetto della memoria storica.

Nel frattempo, chi solleva critiche viene spesso tacciato di “militanza” o accusato di appartenere a una presunta lobby armena. Ma le fonti indipendenti raccontano un’altra storia: rapporti dell’ONU, di Human Rights Watch, di Amnesty International, documentano casi di distruzione deliberata del patrimonio armeno, atti di pulizia etnica e prigionia illegale di civili.

Il rischio, per l’Italia, non è solo quello di essere complice involontaria di una campagna di disinformazione. È quello, più grave, di perdere credibilità accademica, di trasformare l’università in cassa di risonanza di interessi stranieri, di svendere l’integrità del dibattito culturale in cambio di finanziamenti o visibilità.

In un’epoca in cui la guerra si combatte anche con le parole, con le mappe riscritte e con le identità cancellate, l’indifferenza può diventare corresponsabilità. Tacere, oggi, equivale ad arrendersi.

(Foto Kmetro0)

Comments


bottom of page