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Iraq - L’aiuto della Chiesa per gli yazidi dimenticati

Talal Khrais (NNA, Vaticano) - La solidarietà della chiesa è stata indispensabile per quella parte di popolazione che da sette anni vive nel più completo oblio, dimenticata da tutti. Comunità internazionale e grandi mezzi di comunicazione non si occupano più delle sofferenze quotidiane, alimentate da povertà e analfabetismo crescente; non badano più al loro grido disperato nel tentativo di per poter tornare, finalmente, nella propria terra ancestrale. Da sette anni in 250mila sopravvivono nel Kurdistan iracheno dopo essere stati cacciati via dalla loro terra, il Sinjar. Tra la sostanziale indifferenza di comunità internazionale e grandi mezzi di comunicazione, il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati in Iraq si prende cura di loro sostenendoli materialmente e psicologicamente. Padre Joseph Cassar: “Il loro più grande dolore è quello di non poter tornare in patria”. Molti, per disperazione, tentano di togliersi la vita.


Questi fantasmi, secondo i dati più attendibili, sono poco meno di 250mila e sopravvivono in diversi campi profughi gestiti soprattutto da volontari di associazioni non governative. Molti di loro sono assistiti anche dalla Chiesa cattolica che non esita a farsi carico delle loro più stringenti necessità. Padre Joseph Cassar ,da sei anni, è responsabile del gruppo d’aiuto gesuita, conosce bene la situazione politica e sociale, e si è fatto un’idea concreta del perché gli yazidi non possono tornare in possesso delle loro terre nel Sinjar: “Una delle motivazioni – dice- è la mancanza di sicurezza. In quei luoghi ci sono dei gruppi armati che si fronteggiano gli uni agli altri. La seconda ragione è la distruzione della città di Sinjar e dei paesi intorno al distretto di Sinjar: ci sono ancora case rase al suolo e alcune di esse sono completamente minate”. C’è poi d’aggiungere la mancanza di elettricità, di acqua potabile, di un livello anche minimo d’assistenza sanitaria. “Lo sminamento delle case – ammette padre Cassar- sarà un lavoro che richiederà molti anni. Così come togliere le mine dai campi richiederà uno sforzo enorme, lungo e complicato. Una maledizione per una popolazione in maggioranza dedita all’agricoltura”. Il paradosso è che, in una situazione del genere, si continua ad uccidere anche dopo l’apparente cessazione del conflitto, che però, ci tiene a precisare padre Cassar, ancora non è proprio del tutto terminato: ”Due giorni fa - spiega- nel Sinjar ci sono stati alcuni bombardamenti da parte dell’aviazione turca con lo scopo di distruggere delle presunte postazioni del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan”. La missione dei gesuiti accanto agli yazidi si può riassumere sostanzialmente in un verbo: accompagnare. “Ma anche – aggiunge padre Cassar- continuando ad essere un segno di speranza. E tutto ciò lo facciamo tramite i nostri progetti che si possono raggruppare in alcune azioni principali: visitare le famiglie degli sfollati portando aiuti materiali, ripristinare i diritti grazie all’intervento di un avvocato, dare istruzione tramite una scuola per più di duecento bambini e preoccuparci della salute mentale delle persone provate da un'esistenza insostenibile”. Sono molti, infatti, gli yazidi che, disperati, ogni anno tentano di togliersi la vita. Tutto in un assordante silenzio generale.

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