Musica, linguaggio oltre i confini che avvicina i popoli
- Roberto Roggero
- 22 ore fa
- Tempo di lettura: 2 min
Wael Almawla - Quando la politica fallisce, parla la musica. In un mondo lacerato dalle guerre, diviso dalle ideologie e appesantito dalla memoria del colonialismo e dei conflitti, la musica emerge come linguaggio universale che non ha bisogno di traduzione. È il legame umano più profondo, capace di superare le barriere linguistiche e i confini geografici, unendo le persone attraverso emozioni comuni: gioia, dolore, nostalgia e speranza.

Memoria identità, ma anche ponte
Ogni popolo ha la propria musica, ogni cultura ha il suo suono distintivo. Ciò che sorprende, però, è che queste differenze non creano separazione, ma stimolano curiosità e interazione. Quando un arabo ascolta il flamenco spagnolo, o un africano il violino classico europeo, o un tedesco la dabke libanese, quel momento di ascolto diventa uno spazio di conoscenza culturale e un implicito riconoscimento dell’umanità dell’altro.
Da Bob Marley a Fairuz e Ennio Morricone, oltre la politica
La musica ha svolto un ruolo centrale nei movimenti di liberazione e nelle proteste popolari. Le canzoni di Bob Marley erano un grido contro il razzismo, quelle di Fairuz hanno accompagnato i popoli arabi nei mattini di nostalgia e resistenza, mentre l’italiano Ennio Morricone ha composto colonne sonore iconiche che hanno trasformato la musica in un messaggio universale di dolore, conflitto ed eroismo – senza dire una parola.
E l’armeno Arto Demirdjian, o il grande Aram Khachaturian, hanno espresso attraverso la loro musica un grido dalla memoria del genocidio, una speranza di guarigione e un esempio di come una melodia possa contenere il dolore di un intero popolo e offrirlo al mondo in un linguaggio impossibile da negare.
Progetti musicali che attraversano i continenti
Negli ultimi anni abbiamo assistito a collaborazioni tra artisti di origini diverse: un rapper americano che suona con un musicista turco, una band italiana che canta con un suonatore di oud iracheno, o un musicista armeno che fonde il lamento del duduk con ritmi africani.

Questi progetti non rappresentano solo arte condivisa, ma anche un discorso culturale contro l’isolamento, un messaggio secondo cui l’arte non conosce “l’altro” come nemico, ma come potenziale partner.
La musica come diplomazia soft
Sempre più paesi utilizzano la musica come strumento di soft power: organizzano festival internazionali, sostengono gruppi che rappresentano il loro patrimonio all’estero e accolgono ensemble stranieri nel contesto dello scambio culturale. Questa politica silenziosa costruisce ciò che conferenze e vertici spesso non riescono: il rispetto reciproco.
La voce dell’essere umano è più forte delle armi
In un’epoca in cui si alzano le voci dell’odio e della divisione, la musica resta uno degli ultimi spazi liberi in cui l’umanità può ascoltarsi senza giudicare. Quando una chitarra suona in una piazza pubblica, nessuno chiede quale sia la religione del musicista, la sua etnia o il suo orientamento politico. La gente si avvicina, si siede e ascolta… perché una melodia sincera non ha bisogno di identità. È semplicemente l’essere umano, nella sua forma più pura.
留言