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Oman - La fantastica “Iram dei Pilastri”

Assadakah News - Quando le indagini archeologiche incontrano il mito, il riferimento è più che evidente: si tratta di Ubar, la leggendaria “Atlantide delle sabbie” o “Iram dei Pilastri”, di cui oggi vengono svelati i segreti, poiché le indagini storiche confermano elementi sempre meno appartenenti al mito e sempre più reali.

Una città dalle sorprendenti ricchezze, centro di fiorenti commerci e crocevia di culture lungo la Via dell’Incenso che, secondo la leggenda, venne sommersa dalle acque e successivamente inghiottita dalla sabbia del deserto, nell’attuale Sultanato dell’Oman, a poco più di mille chilometri dalla capitale Muscat, nel territorio sud-occidentale non lontano dal confine con lo Yemen, nella provincia di Dhofar, nei pressi di un villaggio chiamato Shisr.

La tradizione popolare parla di Ubar come luogo di grandi tesori, stazione fondamentale lungo la Via dell’Incenso, dove carovane cariche di spezie, mirra e incenso facevano tappa nel lungo viaggio dalla penisola araba verso le grandi civiltà di Egitto, Mesopotamia e fino in India. Il controllo su questo commercio vitale la rese un centro strategico, incrocio di commerci, genti, lingue, culture e tradizioni, fino alla misteriosa sparizione, proprio come Atlantide, e da qui la nascita del mito.

Con il nome “Iram dai Pilastri” è menzionata nel Corano, che la colloca nel Rubʿ al-Khālī, vasto e inospitale vuoto della Penisola Arabica. Il Corano ne parla nella Sura 89 (6-8), raccontando di come la città venne sottoposta ad un attacco contro la tribù dei Banū ʿĀd, che nella tradizione erano i pro-pronipoti di Nūḥ (Noè) e dei suoi successori (Corano 7, 69). Il racconto parla del re Shaddād che sfidò gli ammonimenti del profeta pre-islamico Ḥūd, per cui Allah scatenò una tempesta di sabbia che cancellò la città.

Nel II secolo d.C. il cronista Claudio Tolomeo disegnò una mappa con una regione abitata da un popolo noto come Iobaritae (Ubariti), appunto dal nome della città.

Le fonti arabe più antiche la descrivono come città mercantile del deserto, forse esistita fra il 3000 a.C. e il I° secolo d.C. Anche il celebre Thomas Edward Lawrence, il celebre Lawrence d’Arabia, pare ne fosse rimasto affascinato, tanto da definirla “Atlantide del Deserto”, alimentando non poco il mistero.

La svolta arrivò nel 1992, quando un’équipe di scienziati, archeologi e tecnici decise di passare dalla leggenda alla ricerca storica concreta e, in tempi più recenti, grazie all’utilizzo di immagini satellitari della NASA, tecniche di telerilevamento radar capaci di penetrare il suolo, ai dati del programma Landsat e del satellite Spot, sono state individuate tracce compatibili con antiche vie carovaniere fra il 2.800 e il 100 a.C. e con i profili geologici citati nelle descrizioni tradizionali. Sono state condotte quattro campagne di scavo, tracciando la presenza storica della tribù degli ʿĀd, i costruttori di Iram.

A capo delle spedizioni c’era l’archeologo Juris Zarins, che condusse gli scavi in una delle zone più proibitive del mondo. Le scoperte furono eccezionali: una fortezza, quartieri residenziali, pozzi d’acqua e una complessa rete di strade, ma l’aspetto più affascinante, e al tempo stesso tragico, riguardava ciò che si trovava sotto la città: un intricato sistema di caverne calcaree, contenenti una preziosa riserva d’acqua sotterranea, vitale per la sopravvivenza di Ubar nel deserto. Tuttavia, il suo stesso tesoro fu anche la sua condanna. Con il tempo, e forse a causa dell’uso eccessivo della falda, queste caverne collassarono, portando con sé le strutture sovrastanti. La città sprofondò letteralmente nel suolo, in un destino che richiama in maniera inquietante quello della mitica Atlantide.

A rendere ancora più epica la vicenda fu Sir Ranulph Fiennes, definito “più grande esploratore vivente”, ben noto per imprese ai limiti dell’estremo, come il giro del mondo “in verticale”, toccando entrambi i poli. Fiennes dedicò molti anni e otto spedizioni alla ricerca di Ubar, finché la sua tenacia fu premiata in modo casuale: raccontò infatti che, dopo giorni di scavi e ricerche, durante una conversazione sentì alcuni funzionari omaniti mettere in dubbio la serietà dell’impegno della spedizione. Spinto dall’orgoglio e dall’intuito, avviò gli scavi proprio nei pressi del campo base, dove si trovava una sorgente d’acqua. Tre giorni dopo fu rinvenuta una scacchiera di ceramica risalente a circa 2000 anni fa, la prova materiale dell’esistenza di un insediamento umano nel luogo esatto che la leggenda indicava.

Fiennes documentò questa avventura nel suo libro "Atlantis of the Sands", contribuendo a diffondere la leggenda di Ubar, descrivendo come i ricercatori si fermarono presso un pozzo chiamato Al-Shisa, nei pressi del quale scoprirono un sito precedentemente identificato come il forte di Shis, risalente al 16° secolo. Gli scavi portarono alla luce un insediamento anteriore e manufatti provenienti da altre regioni. Questo sito più antico era costruito sopra una caverna di calcare che poteva contenere una fonte d'acqua, rendendolo un'importante oasi lungo la via commerciale. Quando il livello dell'acqua si abbassò, la struttura si sarebbe indebolita e la caverna sarebbe crollata, fra il 300 e il 500 d.C., distruggendo l'oasi.

La riscoperta di Ubar confermò quanto la cultura araba pre-islamica fosse avanzata, organizzata e in contatto con il resto del mondo antico, offrendo nuovi indizi sul ruolo della Via dell’Incenso come arteria fondamentale di scambi commerciali, culturali e spirituali. Alcuni studiosi, nel confronto con altri siti dell’antica Arabia meridionale, come Mar'ib e Shabwa, hanno sottolineato somiglianze sorprendenti. In effetti anche queste città, oggi rovine nel deserto, prosperarono grazie al commercio e si distinsero per complesse soluzioni architettoniche. Le loro storie, al pari di quella di Ubar, parlano di una Penisola Arabica un tempo ricca e fertile, oggi irriconoscibile a causa dei profondi mutamenti climatici avvenuti nei millenni. Negli antichi scritti e nel folclore locale, la città di Ubar è citata semplicemente come Iram, nel deserto del Rubʿ al-Khālī.

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