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Paesi arabi e diversificazione economica

Roberto Roggero* - L'economia dei Paesi arabi, in particolare dell’area del Golfo, è storicamente legata alla produzione di petrolio e gas naturale, ma negli ultimi anni è in atto una profonda e significativa diversificazione economica.

Parlare di area del Golfo significa parlare di Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi, Oman, Qatar e Kuwait, ovvero i Paesi che compongono il Gulf Cooperation Council, organismo che svolge un ruolo fondamentale nelle relazioni esterne, in particolare con Stati Uniti ed Europa, fondato nel 1981 per la cooperazione fra i membri in vari settori, inclusi scambi commerciali, investimenti e politiche di sviluppo. Nonostante i programmi di diversificazione e i diversi processi per il passaggio dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili e all’idrogeno verde, al momento i punti chiave degli equilibri economici rimangono basati sulla produzione e il commercio di petrolio e gas, e sono proprio i proventi derivanti da questo settore, che stanno alimentando il cambiamento e la diversificazione economica, per ridurre la dipendenza dalle variazioni del mercato del greggio, a vantaggio di comparti come, ad esempio, tecnologia, servizi essenziali, finanza e turismo.

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In questo senso, la diversificazione oltrepassa anche i confini geografici dell’area del Golfo, con una politica economica e una economia politica (che non sono la stessa cosa) orientata verso investimenti in molteplici settori, e con capacità di ulteriore diversificazione per il necessario adattamento alle sfide globali, discorso che comprende soprattutto transizione energetica e cambiamento climatico.

Il principale obiettivo è quindi massimizzare i benefici economici attualmente basate sui combustibili fossili, per investimenti nella transizione energetica, oltre a un sapiente e oculato bilanciamento delle alleanze con Stati Uniti, Cina e Russia, soprattutto in attesa di ciò che riserva il Gruppo BRICS+ che già include alcuni Paesi arabi e del Medio Oriente.

Il motore che alimenta l’economia del mondo arabo è quindi ancora il petrolio, soprattutto a causa dei conflitti in atto, e in particolare riguardo alla crisi ucraina, nonché condizione inequivocabile per la realizzazione dei piani di trasformazione nazionale, ad esempio il grande progetto Vision 2030 dell’Arabia Saudita. Equilibrismo internazionale e de-escalation regionale, con la preoccupazione strategica relativa alla rivalità fra Israele e Repubblica Islamica dell’Iran.

La guerra fra Russia e Ucraina, o forse meglio dire fra Russia e Nato, ha nuovamente messo al centro del discorso energetico petrolio e gas naturale, in una fase storica già segnata da crescita dei prezzi e inflazione.

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I Paesi che si troveranno avvantaggiati nella prima fase post-idrocarburi, saranno indubbiamente i più forti.

L’economia e la politica estera delle monarchie del Golfo si stanno quindi rafforzando, per tre motivi principali. Il primo è la crescita della rendita energetica, perché i Paesi del Golfo possono investire maggiori risorse nella diversificazione energetica, e mitigare l’impatto sociale della trasformazione migliorando anche i conti statali, e in questo senso il Sultanato dell’Oman è un esempio ottimale. Secondo, le fonti di approvvigionamento energetico alternative alla Russia sottoposta a sanzioni, per cui i Paesi UE (specialmente Germania, Italia e Francia) hanno l’urgenza di ridurre la dipendenza da Mosca con forniture alternative, soprattutto con Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Inoltre vi è il discorso Cina, che continua a esprimere una fortissima domanda energetica. Un esempio è il contratto che Qatar Energy ha concluso con Pechino per la fornitura di GNL (gas naturale liquefatto) per 27 anni.

Terzo motivo, i cambiamenti degli equilibri internazionali, che ha dato opportunità ai Paesi del Golfo di avere un peso sempre maggiore sul mercato dei prodotti energetici, trasformato in strumento politico. L’esempio è la decisione della Opec+ (gruppo che raggruppa i Paesi Opec e i produttori non-Opec come la Russia, che è anche un pilastro del gruppo BRICS+.

Non a caso, Riyadh e Mosca nel 2016 hanno siglato importanti accordi in merito, con l’apporto degli Emirati Arabi che hanno contribuito a “insabbiare” le pretese americane su un sostanziale aumento della produzione. Arabia Saudita ed Emirati Arabi sono riusciti a prendere i proverbiali “due piccioni con una fava”: stabilizzare il prezzo del petrolio a circa 90 dollari al barile (minimo necessario per mantenere i progetti di transizione energetica) e affermare il proprio peso in politica estera, determinando una sempre maggiore indipendenza da Washington.

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Dal 2022, con l’inizio della crisi ucraina, tutta l’area del Golfo sta vivendo una fase estremamente positiva a livello economico, con le casse statali ben rifornite e pronte per sostenere il percorso di transizione energetica, e con il Pil in aumento specialmente dopo il blocco causato dalla pandemia di Covid-19. Nel primo trimestre 2022 la Saudi Aramco ha aumentato il profitto di circa l’82% rispetto all’anno precedente, co un utile netto di oltre 39 miliardi di dollari sui 21 miliardi del 2021, ed è inoltre diventata la prima azienda del mondo per capitalizzazione. La Banca Centrale degli Emirati Arabi ha avuto una crescita di circa l’8%, e il Pil del Qatar ha registrato una crescita del 4,5%.

Il Pil del Kuwait è aumentato di oltre l’8%, e la Kuwait Petroleum Corporation (Q8) ha annunciato investimenti per aumentare la produzione e raggiungere i target decisi dall’Opec, e ha avviato trivellazioni petrolifere offshore, con l’obiettivo di superare la produzione di 4 milioni di barili entro la fine del 2025.

Il Sultanato dell’Oman ha registrato ha aumentato delle rendite del settore petrolifero di oltre il 70%, e quelle derivanti dal gas è più che raddoppiata, e la scoperta di nuovi giacimenti, annunciata nel giugno 2022, ha fatto raggiungere i 100mila barili bpd.

(*Direttore responsabile Assadakah News)

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