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Palestina - Società europee complici degli insediamenti israeliani

(a cura dell’ambasciata di Palestina in Italia) - Secondo il gruppo Don’t Buy into Occupation (DBIO), composto da 25 ONG palestinesi ed europee, UniCredit, ING, Santander, Deutsche Bank, Allianz e BNP Paribas sarebbero solo alcune delle 672 istituzioni finanziarie che hanno rapporti economici con 50 aziende attivamente coinvolte nelle attività delle colonie israeliane nei Territori Palestinesi Occupati.

Conosciamo l’illegalità di queste colonie così come gli incentivi politici ed economici previsti per facilitare lo spostamento della popolazione israeliana nei Territori Palestinesi Occupati.

Sappiamo che tutto ciò rappresenta un’aperta violazione del diritto internazionale in tutte le sue espressioni. Alla potenza occupante è proibito dalla legge di spostare la popolazione da e verso i territori che occupa, di confiscare terra, costruire, deportare e impedire la circolazione. Ma si tratta di attività che Israele esercita regolarmente e quotidianamente in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, con il beneplacito di numerose aziende che hanno regolari rapporti commerciali con le colonie illegali. I nomi di alcune di queste società a febbraio dello scorso anno erano state inserite nella lista “nera” dell’ONU: i loro rapporti finanziari con gli insediamenti illegali, si disse, riguardano, includono e facilitano le violazioni dei diritti umani. Tra le altre, spiccano Airbnb, TripAdvisor, Cisco System, Expedia Group, Motorola Solutions, Siemens, Volvo Group.

Il loro contributo all’illegalità si concretizza, ad esempio, nella fornitura di materiali di costruzione per l’espansione delle colonie e di attrezzature utilizzate per la demolizione delle abitazioni palestinesi, ma consiste anche in pratiche di restrizione della libera circolazione dei palestinesi – come la vendita di sistemi di sicurezza e di controllo utilizzati per impedire i loro spostamenti - e in interventi che impediscono le attività economiche dei palestinesi nei Territori Occupati.

Fiutando le tracce delle attività di queste imprese individuate dalle Nazioni Unite, il gruppo DBIO è risalito ai rapporti finanziari che queste società hanno a loro volta con circa 700 gruppi europei. Si tratta per lo più di istituzioni finanziarie, banche, compagnie di assicurazione e fondi pensionistici. Tra il 2018 e il 2021, tra prestiti e sottoscrizioni sarebbero stati forniti a queste società 114 miliardi di dollari e a maggio del 2021 i miliardi di dollari in azioni e obbligazioni degli investitori europei sarebbero stati 141.

Dei 672 gruppi bancari individuati, in 10, da soli, avrebbero fornito 77,79 miliardi di dollari ad imprese attivamente coinvolte negli insediamenti israeliani attraverso prestiti e sottoscrizioni: si tratta di BNP Paribas (Francia, $ 17,30 miliardi), Deutsche Bank (Germania, $12,03 miliardi), HSBC (Gran Bretagna, $8,72 miliardi), Barclays (Gran Bretagna, $8,69 miliardi), Société Générale (Francia, $8,20 miliardi), Crédit Agricole (Francia, $5,55 miliardi), Santander (Spagna, $4,75 miliardi), ING Group (Olanda, $4,60 miliardi), Commerzbank (Germania, $4,37 miliardi) e, ultima della top ten, l’italiana UniCredit, che avrebbe fornito ben 3,58 miliardi di dollari.

Tutto ciò emerge dal Rapporto di 125 pagine recentemente pubblicato da Don’t Buy into Occupation, che si apre con una prefazione di Michael Lynk, Relatore Speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967, nella quale egli afferma, senza mezzi termini, che gli investimenti, i prestiti e i contratti di queste società, forniscono alle colonie illegali “l’ossigeno economico di cui hanno bisogno per crescere e prosperare”.

Il gruppo che ha realizzato il rapporto fa presente che, nonostante sia chiara la natura illegale delle colonie israeliane, le istituzioni europee continuano a fornire un’àncora di salvezza finanziaria alle aziende che vi operano, quando invece dovrebbero assumersi le proprie responsabilità e seguire l’esempio di quelle società che hanno chiuso i rapporti con le imprese presenti nella lista delle Nazioni Unite – una lista che, peraltro, è stata giudicata approssimativa e incompleta da parte del BDS, il Movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni.

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