Siria - Nuove ingerenze americane?
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Wael Al-Mawla (Assadakah Damasco) - Damasco sta vivendo trasformazioni rapide che vanno oltre i suoi confini interni, diventando parte di un nuovo scenario internazionale che Washington sta ridisegnando con attenzione. La visita del presidente della fase transitoria, Ahmad al-Shar’a, negli Stati Uniti e il suo incontro con il presidente americano Donald Trump non sono stati un semplice evento protocollare, ma l’inizio di una nuova fase nel modo in cui gli Stati Uniti affrontano la questione siriana.
La visita è stata seguita da decisioni significative: la revoca delle sanzioni contro al-Shar’a e il ministro dell’interno Anas Khattab, cambiamenti all’interno del Ministero della Difesa, e una vasta campagna di sicurezza contro le cellule dell’ISIS in diverse province.
Il Ministero dell’Interno ha annunciato 61 operazioni di perquisizione e 71 arresti di dirigenti dell’organizzazione, che stavano pianificando attentati contro personalità e gruppi sociali per destabilizzare il paese. Il comunicato ufficiale ha parlato di “eliminare il pericolo prima che inizi”, riflettendo un cambiamento nella dottrina di sicurezza siriana: dal difensivo al preventivo, nel contesto della ricostruzione dello Stato come forza regolare e funzionale dopo un decennio di caos.
Dietro questo scenario di sicurezza si nasconde però un progetto politico–regionale più ampio. La revoca delle sanzioni non è stata un semplice gesto simbolico, ma un segnale di un’accettazione americana graduale della legittimità della leadership transitoria e del suo ruolo nella nuova equazione della guerra al terrorismo. Nel frattempo, si moltiplicano i rapporti – smentiti da Damasco – su un’attività americana limitata nei dintorni della capitale, suggerendo un riposizionamento militare in linea con una strategia diversa rispetto all’esperienza precedente nel nord-est.
Da quando l’ammiraglio Brad Cooper, comandante del CENTCOM, ha assunto la supervisione del dossier siriano, è diventato chiaro che Washington pianifica una presenza di lungo periodo, di natura politico-militare, considerando la Siria come un punto d’equilibrio tra tre progetti intrecciati: quello turco, volto a consolidare un’influenza permanente a nord; quello israeliano, teso a garantire la calma sul fronte meridionale; e quello arabo, che mira a reintegrare Damasco in un contesto che non contrasti con gli interessi americani e israeliani.
In mezzo a queste intersezioni, la leadership transitoria siriana cerca di bilanciare l’apertura verso Washington con la salvaguardia della sovranità nazionale, sotto lo slogan: “La legittimità viene dalla sicurezza, la sovranità dalla capacità.” La nuova Damasco vuole estendere la propria autorità su tutto il territorio nazionale attraverso partenariati calcolati e decisioni indipendenti.
Resta la domanda: siamo di fronte a una nuova alleanza di sicurezza tra Washington e Damasco contro l’ISIS, o all’inizio di un’influenza americana silenziosa all’interno della Siria? Ciò che è certo è che il dopo Washington non sarà come prima di Washington, e che la mappa del Medio Oriente si sta ridisegnando proprio dalla porta di Damasco.







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