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Siria - Si decide tutto in Azerbaijan?

Assadakah News - Turchia e Israele hanno visioni opposte sul futuro della Siria: il governo turco lavora per la rinascita di uno Stato unito e centralizzato, quello israeliano invece rifiuta ogni idea di riunificazione.

Il perché è presto detto: Erdogan vede in una Siria nuovamente unita (e governata dalle forze sunnite che ha sostenuto negli ultimi anni) un Paese in cui poter estendere la propria influenza. Dal canto suo, il premier israeliano Netanyahu teme una Siria filo-turca al pari di come ha temuto, durante gli anni di Assad, una Siria filo-iraniana. Davanti a una divergenza del genere, Turchia e Israele si sono quindi ritrovate davanti a due strade: andare verso un’escalation in territorio siriano oppure, al contrario, mettersi d’accordo. Ha prevalso, dopo l’ennesimo raid israeliano sulla base T4 situata vicino Palmyra, la seconda strada.

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Il modello Astana

Nei giorni scorsi, le delegazioni turche e israeliane composte da alti funzionari sono volate a Baku, capitale dell’Azerbaijan. Entrambe sembrano avere le idee chiare: l’unico modo per trovare un compromesso è arrivare a una spartizione della Siria. O, almeno, a fissare delle zone di “de escalation”. Esattamente come avvenuto tra Turchia e Russia nel 2016 ad Astana. In quell’occasione, Ankara e Mosca hanno fissato delle linee di demarcazione tra zone controllate dall’allora Governo di Assad (dove quindi la Russia ha potuto avere una maggiore influenza) e zone invece in mano agli islamisti appoggiati dalla Turchia. Anche per Israele un accordo del genere non sarebbe una novità, visto che più volte Netanyahu in passato si è accordato con i russi per avere il via libera sui raid contro basi siriane dove erano presenti obiettivi iraniani. Per questo è possibile aspettarsi a Baku un’intesa in grado di ricalcare il modello di Astana. La Siria, in tal senso, potrebbe essere divisa in diverse aree di influenza. Ankara punterebbe a una maggiore libertà di movimento nel Nord del Paese, prendendo possesso di alcune basi lasciate libere dall’ex esercito di Assad in fuga. Al tempo stesso, Erdogan potrebbe promettere a Israele di non scendere oltre una determinata linea di de-escalation, evitando quindi di alimentare gli incubi di Netanyahu. Per lo Stato ebraico infatti, avere i turchi a pochi passi dal confine segnerebbe un ridimensionamento della libertà di azione e del potere di deterrenza.

La mediazione di Baku

In tutto questo, occorre anche sottolineare l’ingresso dell’Azerbaijan nel novero degli attori in grado di recitare la parte di mediatori. Assorbito negli ultimi decenni dalla guerra nel Nagorno-Karabakh, il Governo di Baku ha sempre vestito gli abiti di una delle parti chiamate in causa Dunque, per il presidente azero Aliyev fare da arbitro di una contesa rappresenta un inedito. Ma anche il segnale di come l’Azerbaijan sia sempre più protagonista nella regione. E, a ben vedere, la scelta per una mediazione tra Turchia e Israele poteva ricadere solo su Baku. Il Paese ha infatti rapporti molto stretti sia con Ankara che con Tel Aviv. Con Ankara sussiste un legame culturale, prima ancora che politico: la lingua azera fa parte della famiglia linguistica turcofona, mentre nella bandiera nazionale è presente una mezzaluna con la stella a cinque punte, proprio come in quella turca. Con Israele invece, si condividono accordi importanti sul fronte della fornitura di armi e della collaborazione tra le due intelligence. Molti mezzi con cui l’Azerbaijan ha combattuto la recente guerra per il Nagorno-Karabakh con l’Armenia, per dare l’idea, sono stati girati dagli israeliani.

Circostanze quindi che hanno favorito la scelta di Baku quale luogo di incontro per decidere non solo i compromessi tra Ankara e Tel Aviv ma, molto probabilmente, anche il destino della Siria. Un destino, ancora una volta, agganciato alla spartizione del suo territorio in diverse aree di influenza.

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