Speciale Sudan - Ancora crimini della RSF
- 12 set
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Assadakah News - Attacchi con droni attuati dalle forze paramilitari hanno preso di mira installazioni militari, una raffineria e una centrale elettrica nella regione di Khartoum. Le autorità civili allineate con le Forze di Supporto Rapido (RSF) paramilitari hanno rivendicato la responsabilità in una dichiarazione di questi "attacchi aerei precisi e mirati", senza segnalare vittime. Questa recrudescenza della violenza in una regione attualmente in fase di ricostruzione è giunta quattro mesi dopo che l'esercito ha riconquistato la capitale ai suoi rivali paramilitari e che la regione stava attraversando una fase di calma.
In una dichiarazione, la coalizione pro-RSF ha affermato che gli attacchi odierni miravano a rispondere ai "crimini" dell'esercito e delle sue milizie "che seminano corruzione e uccidono persone innocenti nel Kordofan, nel Darfur e in altre parti del Sudan". La coalizione "non si arrenderà finché non avrà raggiunto i suoi legittimi obiettivi di completare il progetto fondante per costruire una nazione libera permeata dai valori di pace e vera giustizia".

La coalizione "Tasis" - che ha formato un "governo parallelo" ad agosto nelle aree controllate dalle RSF - ha accolto con favore gli attacchi con droni "effettuati dalla sua aeronautica a Khartoum e in altre città su siti militari e logistici". Gli attacchi, effettuati hanno preso di mira il complesso militare di Yarmouk, la raffineria di Khartoum e una centrale elettrica, secondo alcuni testimoni.
Prima degli attacchi al complesso di Yarmouk, nel sud di Khartoum, sono state udite forti esplosioni. Quattro droni hanno preso di mira la centrale elettrica di al-Markhiyat situata a Omdurman, una città vicina a Khartoum sull'altra sponda del Nilo, e hanno causato un incendio prima dell'alba. L'attacco ha causato danni lievi, tuttavia, secondo altri testimoni, a questi attacchi sono seguite delle interruzioni di corrente. Inoltre, tre droni provenienti da ovest hanno preso di mira la raffineria situata a Bahri, città nel nord dello stato di Khartoum, secondo un altro testimone. Anche la base aerea di Wadi Seidna, nel nord-ovest della capitale, e' stata presa di mira, secondo una fonte militare. "La difesa terrestre ha intercettato e abbattuto i droni che prendevano di mira la base", ha detto la fonte. Un altro attacco con drone ha colpito un edificio militare a Kafouri, vicino a Bahri, ferendo personale militare e causando danni, secondo un'altra fonte militare contattata in condizione di anonimato.
Quest'anno l'esercito ha riconquistato il centro del Paese con una serie di offensive, respingendo le Rsf nel Darfur, una vasta regione nell'ovest, e in alcune parti del Kordofan.
Il governo ha lanciato nelle ultime settimane un vasto programma di ricostruzione nella capitale, dove oltre 600 mila sudanesi hanno iniziato a fare ritorno dopo essere fuggiti dai combattimenti, secondo i dati delle Nazioni Unite. L'obiettivo delle autorità è tornare il più rapidamente possibile alla situazione precedente alla guerra, prima che il potere si ritirasse a Port Sudan, importante porto sul Mar Rosso.
Mentre la situazione sembrava essersi stabilizzata nelle regioni di Khartoum e Port Sudan, i combattimenti sono rimasti feroci nel Kordofan e nel Darfur. Ad agosto, il capo dell'esercito sudanese e leader de facto del Paese, il generale Abdel Fattah al-Burhan, aveva dichiarato che non ci sarebbe stato "né compromesso né riconciliazione" con i paramilitari.

Secondo l'ONU, il conflitto ha fatto precipitare il terzo Paese africano nella "peggiore crisi umanitaria del mondo". Finora tutti i tentativi di dialogo sono falliti.
Il rappresentante permanente del Sudan presso le Nazioni Unite, Al-Harith Idriss, ha presentato nuove prove al Consiglio di Sicurezza dell'ONU, accusando gli Emirati Arabi Uniti di essere coinvolti nel reclutamento di mercenari stranieri a favore delle Forze di Supporto Rapido (RSF), entrati in Sudan attraverso il territorio libico. Secondo quanto riferito, il Sudan aveva già presentato una denuncia contro gli Emirati il 29 marzo 2024, senza che il Consiglio di Sicurezza adottasse misure concrete per obbligare Abu Dhabi a cessare il presunto sostegno alle RSF, che combattono contro l'esercito sudanese. Nella sua ultima comunicazione, Idriss ha dichiarato di aver fornito "prove inquietanti e ben documentate" sul coinvolgimento diretto degli Emirati, inclusi il reclutamento, il finanziamento e il dispiegamento di mercenari stranieri per combattere al fianco delle RSF. Questo intervento, ha aggiunto, "ha prolungato il conflitto, distrutto infrastrutture vitali e causato sofferenze indescrivibili ai civili", rappresentando "una grave violazione della sovranità del Sudan e del diritto internazionale umanitario, oltre a una minaccia diretta alla pace e alla sicurezza regionale".
Le autorità sudanesi hanno raccolto prove che dimostrano il coinvolgimento di compagnie di sicurezza private con sede negli Emirati, che avrebbero reclutato tra i 350 e i 380 mercenari, principalmente ex soldati e ufficiali in pensione dell'esercito colombiano. Questi sarebbero stati ingaggiati con il pretesto di fornire "servizi di sicurezza e protezione", ma in realtà trasferiti in Sudan per combattere. I mercenari sarebbero stati trasportati via aerea dagli Emirati a Bosaso, in Puntland (Somalia), e successivamente a Bengasi, in Libia, prima di essere trasferiti attraverso il deserto, passando per il Chad, fino al Sudan. Le autorità sudanesi hanno documentato 248 voli, tra novembre 2024 e febbraio 2025, per trasportare mercenari, armi e attrezzature militari in Sudan, in particolare nelle città di Nyala, El Fasher e Hamrat al-Sheikh.
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