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Sudan - Ci sarà la base russa?

  • 3 ore fa
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Roberto Roggero* - A quanto pare, le trattative sono in fase avanzata, ma non vi è ancora nulla di concreto, dopo fasi alterne da molti anni, fra il governo sudanese, ancora da quando Omar Al-Bashir era al potere, e ora con la presidenza de facto di Abdel Fattah Al-Buhran, e il Cremlino. Voci di corridoio comunque parlano di “fase finale” per la concessione di una base logistica per la Marina della Federazione Russa, a Port Sudan, sul Mar Rosso, dove dovrebbero essere di presidio circa 300 militari e almeno quattro unità navali, compreso un sottomarino nucleare. In cambio della concessione, il governo sudanese si garantisce nuovi aiuti e dotazioni per affrontare i paramilitari ribelli della Rapid Rupport Force. Un notevole cambio di rotta per Mosca, da quando il Gruppo Wagner sosteneva le milizie ribelli del generale Mohammad Hamdan Dagalo in cambio del controllo sullo sfruttamento delle miniere d’oro che, evidentemente, è passato in secondo piano rispetto agli interessi e alle potenzialità future di una base navale sul Mar Rosso.

Il presidente russo Vladimir Putin e il presidente de facto sudanese Abdel Fattah Al-Buhran
Il presidente russo Vladimir Putin e il presidente de facto sudanese Abdel Fattah Al-Buhran

Sono comunque diversi anni che la Russia si è posta l’obiettivo di ottenere una base a Port Sudan, ma i disequilibri in Sudan hanno bloccato diverse volte le trattative. Recentemente si era parlato anche di uno stop definitivo e della cancellazione del progetto, che invece a quanto pare è più valido di prima, poiché Mosca ha continuato a premere, mantenendo i contatti con i leader sudanesi, a prescindere da chi fosse al potere, soprattutto dopo la rinuncia alla Siria in seguito alla caduta di Bashar Al-Assad. Ovviamente il tutto è in netto contrasto con Stati Uniti e Unione europea, perché com’è ben noto, l’Europa considera Putin il nemico pubblico n.1, che per altro ha già messo un piede in Algeria e Libia.

Di contro, pare che le milizie ribelli siano sostenute da Emirati Arabi, Turchia e Serbia, che fornirebbero armamenti di provenienza cinese, mentre la stessa Rapid Support sarebbe anche perno del commercio di armi verso Repubblica Democratica del Congo e Malawi.

Per quanto riguarda la base russa a Port Sudan, l’accordo in via di definizione, concederebbe a Mosca l’utilizzo del territorio del un minimo di 25 anni, ovviamente con possibilità di rinnovo, nonché accesso a buona parte delle risorse naturali del Paese, in particolare l’oro. La nota importante è comunque che, con una base sul Mar Rosso, la Russia avrebbe un punto privilegiato di osservazione (ed eventuale intervento) del traffico da e per il Canale di Suez, Golfo di Aden, Stretto di Hormuz e di Bab-el-Mandeb. Il Sudan si assicurerebbe, a prezzi molto agevolati, forniture di tecnologia militare, specialmente di difesa aerea.

Una base russa sul Mar Rosso, come si può ben immaginare, suscita notevoli preoccupazioni a Washington, perchè vedrebbe aumentare il raggio d’azione in un’area particolarmente sensibile, dal momento che comprende anche Oceano Indiano, Mediterraneo e l’altrettanto delicata area del Corno d’Africa. Un indubbio successo strategico per Vladimir Putin, contando anche le altre iniziative del Cremlino in Africa.

Altro timore, alla Casa Bianca, sono i passi che in Africa sta facendo anche la Cina, che ha ottenuto i diritti per la costruzione di diversi scali marittimi e ha già una importante base navale a Gibuti, a pochi chilometri da Camp Lemonnier, non lontano dal comando americano del settore Africa, in Qatar, e dai presidi statunitensi in Somalia. Da considerare poi che gli Stati Uniti gestiscono la base aerea di Agadez, in Niger, con droni da combattimento e mezzi di sorveglianza, e altre 34 installazioni militari in Africa, che includono basi principali e secondarie, spesso utilizzate per la lotta al terrorismo. I russi a Port Sudan possono poi monitorare anche le installazioni militari a Sigonella, in Sicilia, in Spagna e Creta che svolgono ruoli importanti nel supporto logistico e operativo.

In ogni caso, la Russia ha recuperato in breve l’influenza in Africa, che aveva subito un calo sensibile con la morte di Yevgenj Prigozhin nel 2023, capo del Gruppo Wagner che, com’è noto, sosteneva i ribelli della Rapid Support Force, mentre l’attuale Corpo d’Africa, dipendente direttamente dal ministero della Difesa, sostiene la Sudan Army Force.

Intanto, la Russia non è il solo fornitore del governo riconosciuto del generale Al-Buhran, poiché acquista droni e armamento anche da Iran, Egitto e Turchia, ma lo stesso generale-presidente Al-Buhran, mostra estremo interesse per concludere l’accordo con Mosca, il che può anche essere segno di necessità, visto che la RSF ha ottenuto ad oggi notevoli successi, arrivando a controllare il Darfur, il Kordofan, e dividendo il Paese con la formazione di un governo alternativo.

A subire tutto questo, come di consueto, la popolazione: il conflitto in Sudan ha già causato oltre 200mila morti, a cui si aggiungono le vittime di fame, epidemie, e sfollamento, con oltre 15 milioni di profughi.

(*Direttore responsabile Assadakah News)

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