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Ziad Rahbani, il silenzio finale del pianoforte

Aggiornamento: 27 lug

Wael Al-Mawla - Oggi cala il sipario su uno dei capitoli più belli del Libano. È partito Ziad Rahbani, e con lui è scomparsa quella voce diversa che non somigliava a nessun’altra, e che non ha mai accettato di essere una copia di qualcuno. Ziad, nato dalla casa di Fairuz e Assi, dal grembo della melodia dolce e del linguaggio puro, scelse tuttavia di scrivere un’altra storia, più dolorosa, più sincera e più audace.

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Il diciassettenne che compose “Sa’alouni el Nas” non era solo un giovane talentuoso. In quel momento stava scrivendo il proprio destino: quello di un ribelle che non si accontentava di essere figlio di una leggenda, ma voleva creare la sua leggenda personale. Sul palcoscenico disse ciò che molti non osavano dire. Abbiamo riso con lui in “Bennesbeh La Bukra Chou?” mentre piangevamo dentro di noi; ci siamo specchiati nei volti di “Film Ameriki Taweel” e abbiamo visto come l’assurdo ci aveva inghiottito mentre applaudivamo al fallimento.

Ziad non era solo un artista; era un’idea che camminava sulla terra. Di sinistra fino al midollo, comunista per inclinazione, resistente con la parola e la melodia, visse senza maschere e morì senza compromessi. Non chiese applausi, né cercò il potere, ma possedeva un altro tipo di dominio: quello della parola, della musica e dell’ironia, più autentica di qualsiasi discorso.

Con la scomparsa di Ziad, perdiamo più di un musicista. Perdiamo una memoria coraggiosa, una voce che non somigliava al frastuono, e un pianoforte che ci smascherava ogni volta che suonava. Oggi il pianoforte tace, il silenzio è diventato più alto di qualsiasi musica. Come sopporteremo questo vuoto? E come potrà il Libano suonare senza le tue dita?

Pace a te, Ziad, più grande della melodia, più sincero della politica e più profondo di tutto questo caos. Sei andato via, ma ci hai lasciato una musica che non morirà, e un sorriso ironico che continuerà a ricordarci che un tempo avevamo un sogno.

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