Artsakh - L’identità armena sotto assedio nel 2025
- 27 ago
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Lelio Antonio Deganutti (Assadakah News) - Artsakh, conosciuto anche come Nagorno-Karabakh o Larsak, non è semplicemente una regione geografica: è una parte integrante dell’anima armena, una terra dove storia, fede e cultura si intrecciano da secoli. Fin dall’antichità, questo territorio è stato una provincia del regno d’Armenia, popolato da comunità che hanno custodito monasteri, chiese e croci di pietra, lasciando un’impronta indelebile. Monasteri come Gandzasar e Dadivank continuano a testimoniare, nonostante tutto, la profonda radice cristiana e armena della regione.
Dopo la definitiva occupazione azera del 2023 e l’esodo forzato di circa 120.000 armeni, la situazione si è aggravata. Nel 2025, l’Azerbaijan ha intensificato la sua politica di negazione culturale, presentando i monumenti armeni come “albaniani caucasici” e cancellando segni identitari con un revisionismo storico che ha suscitato condanne da parte di studiosi e istituzioni internazionali. Diverse conferenze e incontri, dalla Svizzera agli Stati Uniti, hanno denunciato questo processo, ricordando come la memoria armena di Artsakh rischi oggi l’oblio.
Sul piano politico e umano, le ferite sono profonde. Numerosi leader ed esponenti della ex repubblica armena di Artsakh sono stati arrestati e processati in Azerbaijan, in procedimenti che osservatori internazionali hanno definito privi di garanzie e di legittimità giuridica. Molti rifugiati vivono dispersi tra Armenia e diaspora, privati del diritto di ritorno e segnati da un esodo che ha svuotato la loro terra di radici vive.
Il 2025 ha visto anche un importante sviluppo geopolitico: a Washington, con la mediazione degli Stati Uniti, Armenia e Azerbaijan hanno firmato un accordo noto come TRIPP, che apre un corridoio di collegamento tra l’Azerbaijan e l’exclave del Nakhchivan. Un’intesa di portata storica, presentata come passo verso la stabilità regionale, ma che in realtà ha lasciato irrisolta la questione di Artsakh. Nessun riferimento al diritto al ritorno dei profughi armeni, nessuna garanzia per i siti culturali e religiosi, nessuna tutela per una memoria che rischia la cancellazione. Molti analisti e membri della diaspora armena hanno denunciato come questa pace di facciata equivalga in realtà alla normalizzazione di una pulizia etnica.
La tragedia dell'Artsakh non riguarda solo gli armeni: è una questione che interroga la coscienza del mondo intero. Lasciare che una civiltà millenaria venga estirpata significa accettare che la storia e la cultura possano essere riscritte dalla forza. Difendere l’identità armena di Artsakh significa difendere un’eredità che appartiene all’umanità.
Oggi più che mai, la voce di Artsakh deve continuare a farsi sentire. Le radici possono essere nascoste, ma non cancellate: esse vivono nella memoria, nella fede e nella dignità di un popolo che non rinuncia al proprio passato e che continua a lottare per un futuro di giustizia e riconoscimento.







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