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Diritto al Ritorno: Una causa nazionale palestinese basata sul diritto internazionale

  • 10 giu
  • Tempo di lettura: 2 min
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Issam Al-Halabi - La tragedia della diaspora palestinese ebbe inizio nel 1948, quando le milizie sioniste espulsero con la forza circa 750mila persone dai loro villaggi e città, a seguito di massacri e attacchi mirati contro civili, inclusi bambini, donne e anziani. La Nakba non fu un evento passeggero nella storia palestinese, ma l’apertura di una nuova pagina di dolore e di esilio che dura ancora oggi. Le ondate di rifugiati aumentarono ulteriormente dopo l'aggressione del 1967, estendendosi ai Paesi vicini e a nazioni lontane, rendendo il palestinese un rifugiato forzato in ogni angolo del mondo.

I rifugiati lasciarono la Palestina fisicamente, ma le menti e i cuori rimasero saldamente legati alla loro terra. Nonostante le dure condizioni dell’esilio, e le difficoltà della vita, i palestinesi non hanno mai rinunciato al diritto al ritorno. Al contrario, hanno intrapreso una lotta continua su diversi fronti: popolare, politico, nazionale, diplomatico e legale. Questa lotta è portata avanti attraverso il loro unico e legittimo rappresentante, l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), e tramite le sue rappresentanze e ambasciate, nonché attraverso l’attivismo popolare e culturale nei paesi dell’esilio.

Il diritto al ritorno è fondato su decine di risoluzioni internazionali, la più importante delle quali è la n.194 adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948, che al paragrafo 11 stabilisce che "i rifugiati desiderosi di tornare alle loro case e vivere in pace con i loro vicini dovrebbero poterlo fare al più presto possibile". Tale diritto è stato riaffermato oltre 135 volte in successive risoluzioni internazionali. Anche la Risoluzione 3236 del 1974 ribadisce il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, all’indipendenza e al ritorno dei rifugiati nelle loro case e proprietà. I campi profughi non sono semplici rifugi temporanei, ma si sono trasformati nel tempo in simboli nazionali e politici. Il campo è diventato il custode della memoria del rifugiato, dove i nomi dei villaggi e delle città palestinesi sono affissi sui muri, e le nuove generazioni vengono educate alla storia e all'identità del popolo di appartenenza. Nonostante le difficili condizioni di vita, i rifugiati palestinesi rifiutano qualsiasi interpretazione dei diritti umani fondamentali, come il diritto al lavoro o alla casa in alternativa al diritto al ritorno, ribadendo il rifiuto assoluto a qualsiasi forma di insediamento permanente o assimilazione.

La lotta palestinese per il ritorno non si limita alla politica o al diritto, ma si estende anche al campo della cultura e del patrimonio. In occasione dell'anniversario della Nakba, il 15 maggio di ogni anno, i palestinesi partecipano alla Marcia del Ritorno, a mostre fotografiche e librarie che documentano la storia dei villaggi distrutti, e celebrano attività tradizionali come la Dabka, le canzoni patriottiche e l’abbigliamento tradizionale, oltre a festival nella diaspora che portano i nomi dei villaggi palestinesi, mantenendo viva la memoria.

Il popolo palestinese continua ad aggrapparsi al proprio diritto al ritorno, nonostante la strada sia ancora lunga e difficile. Questo diritto vive nel cuore di ogni rifugiato, inciso nella coscienza, radicato nella sua cultura. È una chiave che si alza nel cielo del campo, non come semplice pezzo di metallo, ma come simbolo di una promessa che non può cadere nell’oblio. Chi sentirà il suono di quella chiave quando sarà sollevata in alto?

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