top of page

Editoriale - Il mondo arabo si unisce contro la prepotenza

  • 24 set
  • Tempo di lettura: 2 min

Roberto Roggero* - Le tappe storiche dei numerosi tentativi di pacificazione sono note, e altrettanto noto il fatto che, a causa della prepotenza e della follia israeliana, i molti tentativi non hanno dato i frutti sperati.

Dalla guerra arabo-israeliana del 1979, al trattato di pace Egitto-Israele dello stesso anno, ai trattati con la Giordania, seguiti dagli Accordi di Abramo con Emirati Arabi e Bahrain, il motivo conduttore è sempre stata la Questione Palestinese”.

ree

Oggi, con l’Assemblea Generale ONU in corso, per il riconoscimento dello Stato di Palestina, ci si trova di fronte un presidente americano che si erge a guardiano del mondo (storico atteggiamento statunitense), che proclama a gran voce garanzie di libertà, e che continua a imbottire di armamenti uno stato aggressore, e proibisce la concessione del visto d’entrata in territorio statunitense ai rappresentanti palestinesi attesi al Palazzo di Vetro. E nel contempo presenta anche un progetto di ristrutturazione della Striscia di Gaza per adattarlo a riviera resort, a Qatar (recentemente aggredito da Israele), Arabia Saudita, Egitto, Pakistan, Emirati Arabi, Turchia, Giordania e Indonesia. Paesi che sostengono manifestamente la causa palestinese, e tentando di fare naufragare definitivamente il progetto di creazione dei Due Stati, dimenticando che l’OLP (organismo riconosciuto come referente) da parte sua ha già riconosciuto lo Stato di Israele nel 1993, con una lettera ufficiale di Yasser Arafat, indirizzata al primo ministro israeliano Yitzhak Rabin, passo che aprì la strada agli Accordi di Oslo e al riconoscimento reciproco. Da ricordare che lo stesso Rabin venne poi ucciso da un estremista del suo stesso Paese.

La vergogna non ha limiti, specialmente considerando che l’aggressione israeliana al Qatar ha comunicato al mondo arabo due messaggi: neppure il ruolo di mediatore nella questione ostaggi mette al riparo dalle bombe di Netanyahu; e quell'immunità non è più garantita neppure da quella potenza americana con cui Qatar, Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi e Giordania hanno stretto patti di alleanza.

La scorsa settimana, durante l'incontro dei leader arabi a Doha, il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi ha definito Israele “nemico”. Nessun suo predecessore aveva mai usato tale termine, dopo gli accordi di pace del 1979.

In questo scenario, lo scorso 17 settembre l'Arabia Saudita ha siglato un patto di difesa strategica con il Pakistan, potenza nucleare in ottimi rapporti con la Cina, accordo che prevede la mutua difesa in caso di attacco da parte di terzi, ed evidenzia la crescente sfiducia nei confronti di Washington.

La Turchia oggi ricopre oggi l'inconciliabile ruolo di membro Nato e principale alleato della Siria su un confine con Israele dove il rischio di uno scontro militare è reale. Tutti fattori che rendono fragile la leadership statunitense nella Regione, e spingono l'amministrazione Trump a proporre ai leader islamici all’ONU un paradossale piano di pace per Gaza, basato sull'intervento di una forza di pace araba e sul disarmo di Hamas, oltre alla creazione di un governo provvisorio e la ricostruzione con investimenti delle otto nazioni sopra citate, senza calcolare che il primo a opporsi potrebbe essere proprio Netanyahu, e senza valutare nella giusta ottica che i Paesi arabi stanno procedendo verso un fronte compatto di assoluta e decisa opposizione alle utopistiche pretese israeliane e americane.

(*Direttore responsabile Assadakah News)

Commenti


bottom of page