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Editoriale - Israele spernacchia l'Italia...e si lascia fare

Lorenzo Utile - Anche questa volta, in seguito al tentativo da parte di due carri armati israeliani di sfondare il perimetro di una base Unifil in Libano, il ministro della Difesa, Guido Crosetto ha prontamente protestato presso il governo di Tel Aviv. A quanto pare, il risultato è stato quello di sempre, ovvero nulla. Questa è la credibilità politica dell’Italia che rimane succube e non osa uscire dal cerchio disegnato con il gessetto americano. Nel frattempo nemmeno si ha il coraggio di bloccare le forniture di armi dirette allo stato sionista. Oltre al danno, la beffa. A Napoli direbbero “cornuti e mazziati”, insomma, una figura indecente: ci si fa prendere in giro e si rimane zitti con lo sguardo a terra, mentre agli italiani si fa credere che sia in atto “una pressante azione diplomatica con l’obiettivo della pace”.

Un buon inizio sarebbe quello di bloccare appunto le forniture di armamenti, come hanno chiesto Movimento 5 Stelle e PD.  Ma c’è di più: i soldati italiani dell’Unifil hanno rivenuto una serie di ordigni incendiari che gli israeliani hanno disseminato lungo la strada che conduce alla base operativa avanzata UNP 1-32, atto manifestamente ostile. Un team di artificieri del contingente nazionale, intervenuto sul posto, ha messo in sicurezza l'area ma non ha potuto completare le operazioni di bonifica poiché, per cause in via di accertamento, uno degli ordigni si è innescato provocando un rogo nell'area circostante. Fortunatamente non si registrano danni a persone o mezzi. 

Fermare l’operato sconsiderato di Netanyahu, e intanto bloccare l’invio di armi verso Israele e riconoscere la Palestina come Stato. Questi tre punti, insieme a un intenso disprezzo, uniscono le posizioni di Elly Schlein e Giuseppe Conte, i quali, dopo l’attacco a Unifil, esigono interventi più significativi rispetto a semplici condanne, facendo seguito alle richieste di altri leader europei.

Antonio Conte è stato particolarmente diretto: “Quando si comprenderà l’urgenza di fermare le atrocità commesse dal governo Netanyahu? Non bastano 12 mesi di sistematica eliminazione della popolazione palestinese e di meticolosa devastazione di Gaza? Una vera e propria invasione in Libano con migliaia di morti, insieme agli attacchi alle nostre strutture, non sono state sufficienti? Bisogna fermare la deriva di Netanyahu e prendere decisioni reali per un cessate il fuoco e una soluzione che preveda due Stati per Israele e Palestina”.

Anche Angelo Bonelli, rappresentante di AVS, ha tuonato: “Ci troviamo di fronte a veri e propri crimini da parte del governo israeliano. La premier Meloni, pur definendo inaccettabili gli attacchi israeliani a Unifil, considera giustificabili le bombe che hanno provocato la morte di 42mila palestinesi. Può fare qualcosa di più significativo?”.

Israele ha oltrepassato ogni limite tollerabile, ha lanciato una sfida al mondo intero. In questo modo sta compromettendo le possibilità di mantenere relazioni accettabili con gli altri paesi della regione, alienando anche quelli che in passato erano amici e alleati. Se non verranno mossi passi in questa direzione non sarà possibile evitare un conflitto devastante.

Troppe azioni sono andate nella direzione opposta rispetto alla necessità di dare pace e stabilità alla regione. Il ministro degli Esteri della Giordania, Ayman Safadi, lo ha sottolineato con estrema lucidità: Israele non ha nessun piano per la pace perché è ancora ferma al primo step: distruggere Gaza, destabilizzare la West Bank, colpire il Libano. Dopodiché non ci sono piani. La vera preoccupazione che dovrebbe scuotere la passività complice dell’occidente è se un conflitto regionale di tale portata possa contribuire a rendere più sicura la popolazione israeliana. A distanza di un anno nessuno degli obiettivi enunciati da Netanyahu e perseguiti dai vertici delle forze armate israeliane è stato raggiunto. Lo stato ebraico non solo non è stato in grado di sradicare Hamas, ma è in tutta evidenza meno sicuro e più isolato sul piano dell’opinione pubblica internazionale. La pace nel mondo è possibile solo se si tenta di comprendere anche le ragioni degli altri, se si apre lo spazio della politica, del compromesso, che non svilisce la dignità di nessuno.

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