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Editoriale - L’esempio di Nyala per “Un Sudan possibile”

Roberto Roggero* - Nonostante una guerra civile che sta dilaniando il Paese, e indicibili sofferenze che le conseguenze del conflitto infliggono alla popolazione stremata, i sudanesi continuano a sperare in un futuro che possa fare rinascere un Paese che è culla della storia dell’umanità, con una storia e una cultura millenarie.

Le emergenze del Sudan sono chiaramente visibili per una comunità internazionale che sembra voltare la testa, fra crisi idrica, epidemie, povertà, sfollati, fame e molto altro, per non parlare della instabilità politica.

Nella stessa capitale Khartoum, molti quartieri non sono ancora forniti di acqua potabile e gran parte degli impianti di rifornimento non sono funzionanti, e procurarsi l’acqua è diventata una sfida difficile quanto il sopravvivere alla stessa guerra.

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Darfur

Se nella regione della capitale la situazione è di estrema emergenza, nel Darfur è difficile trovare anche solo una definizione adatta alle condizioni che sta vivendo la popolazione, soprattutto vittima delle violenze dei miliziani ribelli della Rapid Support Force e dei mercenari che combattono nelle loro file. Le poche associazioni e organizzazioni che riescono ad accedere al territorio, parlano di pulizia etnica, fame come arma di guerra, città, villaggi e campi profughi assediati, bombardati e sottoposti a irruzioni improvvise. Gli impianti idrici sono bersaglio preferenziale, come è avvenuto a Mellit, Zurq, El Fasher. La mancanza di acqua costringe la popolazione a trovare fonti alternative, che spesso sono contaminate e causano l’insorgere di epidemie come il colera. Sono continuamente in atto sfollamenti, deportazioni, e privazioni di vitali ricorse.

“Un Sudan possibile”

Unica eccezione sembra essere Nyala, nel Darfur meridionale, dove gli amministratori locali sono riusciti a mettere a punto un impianto a energia solare grazie al quale è stato possibile riattivare l’impianto per la distribuzione dell’acqua, che ha salvato il lavoro di quattro ospedali. Un indubbio segnale che mostra come sia possibile una ripresa che possa portare al miglioramento delle disastrose condizioni della popolazione e al proseguimento del progetto “Un Sudan possibile”, sempre che non venga interrotto a causa della guerra.

“Un Sudan possibile” dovrebbe essere l’insegnamento che la comunità internazionale dovrebbe raccogliere e sostenere, a dimostrazione che se la popolazione locale, nelle condizioni in cui versa, è capace di iniziative del genere, dovrebbe fare pensare a cosa potrebbe fare la comunità internazionale.

I governi e le organizzazioni internazionali ufficiali, che continuano a invocare a parole la fine della guerra e la costruzione di uno Stato civile, hanno la possibilità di realizzare azioni concrete, e non più limitarsi a condanne verbali e dichiarazioni di circostanza. Un’opportunità che potrebbe liberare il Sudan dall’estremismo e dai conflitti intestini, dando inizio a un percorso verso la pace e verso condizioni ideali per poter gestire le proprie diversità interne ed estere, facendone strumento di unione e non di divisione.

La comunità internazionale si trova quindi di fronte a una scelta che non può non essere obbligata, per fare vincere non una parte sull’altra, ma per fare vincere il Sudan. Strada certo non facile, ma possibile solo se c’è la volontà di intraprenderla.

(*Direttore responsabile Assadakah News)

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