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Egitto - La Sacerdotessa e i Giardini di Osiride

  • 5 ott
  • Tempo di lettura: 8 min

Aggiornamento: 19 ott

Patrizia Boi (Assadakah News) -  Rubrica Culturale "Le Mille e Una Fiaba" - I Favolosi Paesi della Lega Araba


Capitolo 5 EGITTO - La Sacerdotessa e i Giardini di Osiride


Amnet medita accanto alla statua di Osiride, mentre il cielo notturno è squarciato dalla stella cadente
Amnet medita accanto alla statua di Osiride, mentre il cielo notturno è squarciato dalla stella cadente

C’era una volta, in un tempo in cui gli dèi camminavano tra gli uomini, una giovane sacerdotessa chiamata Amnet. Devota al dio Osiride, protettore della rinascita e della vita eterna. Amnet viveva in un tempio ai margini del Nilo, circondato da un’aura di antichi misteri. Si narrava che, nascosto da veli di mito e tempo, esistesse un giardino creato dal dio stesso: i Giardini di Osiride, un luogo sacro dove crescevano piante in grado di guarire ogni male, riportando persino la speranza nei cuori spezzati.


Ma il giardino era avvolto da segreti: poteva essere trovato solo da chi conosceva il linguaggio degli spiriti della terra. Si diceva anche che per aprirne i cancelli fosse necessaria una stella caduta dal manto di Nut, la dea del cielo, e trovare la leggendaria Clessidra del Tempo Perduto, custodita in un tempio remoto, protetto da enigmi così intricati che solo il cuore più puro e determinato poteva risolverli.


Una notte, mentre Amnet meditava accanto alla statua di Osiride, un bagliore improvviso squarciò il cielo. Una stella precipitò sulla terra, il suo calore infiammando la sabbia. Nut, la custode della volta celeste, apparve in sogno alla sacerdotessa e le affidò una missione.


«Amnet, figlia della terra, la mia stella è caduta, e con essa l’equilibrio tra il cielo e la terra è spezzato. Recuperala e riportala a me, e in cambio potrai accedere ai Giardini di Osiride. Ma per farlo, dovrai affrontare il Duat, il regno dei morti, e risvegliare la Clessidra del Tempo Perduto. Sii forte, perché il tuo cuore sarà la tua guida».


Il viaggio verso il Duat non era solo un percorso fisico, ma un'odissea nell'anima. Amnet partì all'alba, quando il mondo sembrava trattenere il respiro.


Il Nilo, che scorreva tranquillo accanto al tempio, divenne il primo guardiano del mistero: le sue acque riflettevano un cielo così immobile che sembrava trattenere segreti antichi. Amnet lo attraversò su una barca leggera, guidata da remi che sembravano muoversi da soli, come se il fiume stesso volesse condurla al suo destino.


Attraversò il deserto dorato, dove il vento le sussurrava antiche preghiere. Le sue orme venivano cancellate dalla sabbia, ma ogni passo era guidato da un canto interiore, un eco del divino che la spingeva avanti.


Quando giunse ai confini del mondo visibile, il paesaggio mutò. La luce del giorno svanì, lasciando spazio a un crepuscolo eterno. L’aria era densa di un silenzio che sapeva di attesa e di paura. Davanti a lei si apriva l’ingresso al Duat, il regno dei morti e degli spiriti, un portale di ombre intrecciate che si agitavano come lingue di fiamma spente.


Amnet avanzò, e il mondo intorno a lei si fece irreale. Il terreno si dissolse sotto i suoi piedi, sostituito da dune eteree che si estendevano all’infinito. Non c’era vento, né suono, solo il battito del suo cuore che le ricordava di essere viva. Ombre indistinte si aggiravano tra le dune, spiriti senza volto che sussurravano antichi rimpianti, frammenti di vite perdute.

Anubi, il dio sciacallo, imponente e avvolto da un’aura dorata, apparve nel Duat ad Amnet
Anubi, il dio sciacallo, imponente e avvolto da un’aura dorata, apparve nel Duat ad Amnet

Poi, nell’oscurità densa, apparve Anubi. Il dio sciacallo, imponente e avvolto da un’aura dorata, si ergeva come una statua vivente. I suoi occhi brillavano come due lune oscure, colme di una saggezza millenaria. Senza parlare, le fece un cenno, e Amnet comprese che doveva fermarsi.


Con voce profonda e calma, Anubi pronunciò il suo enigma:


«Qual è il dono più prezioso che neppure gli dèi possono trattenere, ma che tutti desiderano avere


La domanda riecheggiò nel silenzio, come un’onda che si infrange su rive invisibili. Amnet sentì il peso di ogni parola, mentre rifletteva. Il tempo sembrò rallentare, come se persino il Duat attendesse la sua risposta. Poi, con una calma serena, disse:


«Il tempo. È la chiave della vita, il dono che tutti noi riceviamo, ma che nessuno può possedere per sempre».


Anubi si chinò leggermente, un cenno di approvazione che sembrava spostare l’oscurità stessa. Dalla sua mano apparve una chiave di ossidiana, lucente come la notte, che porse alla sacerdotessa.


«Questa è la tua guida. Aprirà le porte alla Clessidra del Tempo Perduto, ma ricorda: il tempo non è solo un dono, è anche una responsabilità».


Con quelle parole, Anubi svanì, lasciando Amnet sola nel regno delle ombre, con la chiave che brillava debolmente tra le sue dita.


Davanti a lei, una porta antica si materializzò dalle nebbie: intricati geroglifici ne decoravano la superficie, pulsando di una luce che sembrava provenire dall’eternità.


Con coraggio, Amnet si avvicinò, sapendo che oltre quella porta l’attendeva la Clessidra, e forse, una nuova prova per dimostrare il suo cuore puro e il suo spirito determinato.


Nel Cuore del Tempo e dei Misteri


Amnet nel momento in cui scopre la Clessidra del Tempo Perduto nel cuore del tempio
Amnet nel momento in cui scopre la Clessidra del Tempo Perduto nel cuore del tempio

Il tempio dove la Clessidra del Tempo Perduto riposava si ergeva come un monolite scolpito dal tempo stesso. Le sue pareti erano incise con geroglifici che sembravano respirare, pulsando al ritmo del battito del cuore della terra. Amnet entrò con passo esitante, il silenzio intorno a lei era così profondo che poteva sentire il suono del suo respiro trasformarsi in un eco distante.


Ogni passo la conduceva più vicino al cuore del mistero, ma anche più in profondità dentro di sé. I corridoi si snodavano come serpenti, intrecciati in un labirinto che sembrava non avere fine. Torce eterne, alimentate da una luce blu eterea, illuminavano debolmente le pareti, rivelando scene scolpite di battaglie divine, rinascite e sacrifici.


Ad ogni angolo, Amnet si trovava davanti a enigmi incisi su pietre d’ossidiana. Le domande erano intrise di saggezza antica, e ognuna di esse richiedeva più del solo intelletto: chiedevano comprensione, intuizione, e un cuore puro.


Una delle incisioni le chiese:


«Cosa rimane quando tutto è perduto?».


Amnet chiuse gli occhi e lasciò che il silenzio rispondesse al posto suo. Poi pronunciò con voce serena:


«La speranza. Perché è l’ultima fiamma che nemmeno il tempo può spegnere».


Ogni risposta corretta non solo le apriva un passaggio, ma svelava un frammento della sua anima, come se il tempio stesso stesse leggendo il suo cuore.


Finalmente, giunse in una sala circolare. Al centro, su un piedistallo di alabastro intarsiato d’oro, riposava la Clessidra del Tempo Perduto. La sua forma era di una bellezza senza tempo: il vetro cristallino rifletteva la luce come un prisma, mentre la sabbia dorata al suo interno si muoveva lentamente, ogni granello sembrava contenere l’essenza di un momento vissuto.


Avvicinandosi, Amnet sentì il respiro del tempo: era dolce e malinconico, un richiamo al passato e un sussurro del futuro. La Clessidra emanava una luce calda che avvolse la giovane sacerdotessa, come se riconoscesse in lei la degna custode.


Con la Clessidra del Tempo Perduto stretta tra le mani e la Stella di Nut che brillava come una seconda luna nel cielo, Amnet tornò alla terra dei vivi. Il mondo sembrava trasformato ai suoi occhi: il deserto brillava come oro liquido sotto il sole, e il Nilo scorreva come una melodia eterna.


Il Giardino della Rinascita


I Giardini di Osiride in tutta la loro magnificenza, la maestosa statua di Osiride e Amnet illuminata da una luce celestiale, che custodisce il simbolo della speranza e del legame tra il divino e l'umanità
I Giardini di Osiride in tutta la loro magnificenza, la maestosa statua di Osiride e Amnet illuminata da una luce celestiale, che custodisce il simbolo della speranza e del legame tra il divino e l'umanità

Seguendo il linguaggio degli spiriti della terra, che aveva imparato lungo il suo cammino, Amnet trovò infine i cancelli del leggendario Giardino di Osiride. Erano maestosi e imponenti, intrecciati da rami scintillanti che sembravano tessuti con luce stellare. Ogni ramo raccontava una storia, ogni glifo inciso sussurrava un canto sacro che si fondeva con il vento.


Amnet si fermò, sentendo il peso della sacralità di quel momento. Appoggiò la Clessidra sul piedistallo al centro dei cancelli, e con mani tremanti sollevò la Stella di Nut verso il cielo. Le parole della preghiera antica fluirono dalle sue labbra come un fiume di miele:


«Osiride, signore della rinascita, apri i tuoi cancelli a chi porta il dono del Tempo e della Luce delle Stelle».


Un tremito percorse il terreno, e i cancelli si aprirono lentamente, rivelando un paesaggio che sembrava un sogno reso reale. Alberi alti come montagne portavano frutti luminosi che risplendevano come lanterne nella notte. Fiori dai petali traslucidi emanavano profumi così dolci che sembravano avvolgere l’anima. Un fiume di luce liquida scorreva al centro del giardino, riflettendo i colori del tramonto e dell’alba in un unico, infinito momento. Al centro, su un trono di pietra viva, si ergeva una statua di Osiride, il volto sereno e maestoso. Gli occhi sembravano osservare Amnet con benevolenza, come se il dio stesso fosse presente, accogliendola in quel luogo sacro.


Amnet avanzò, sentendo una pace profonda e un senso di compimento. Sapeva che i Giardini di Osiride non erano solo un luogo di guarigione, ma un simbolo della connessione eterna tra il cielo e la terra, tra il tempo e l’eternità. E sapeva, nel profondo del suo cuore, che il suo viaggio non era stato solo per salvare una stella o scoprire un giardino, ma per rinascere come portatrice di speranza per il mondo intero.


Nut, la dea del cielo, apparve come un’aurora luminosa, il suo volto sereno e intriso di gratitudine.


«Amnet», disse con voce dolce e potente, «hai dimostrato che il coraggio e la purezza possono superare anche le prove più difficili. Da oggi, i Giardini di Osiride saranno affidati a te, custode del loro mistero e della loro grazia. Condividi le loro meraviglie con chi ha il cuore puro e lo spirito saldo, perché la vera guarigione non risiede nelle piante, ma nell’amore e nella speranza che sei capace di seminare nel mondo».


La sacerdotessa si inginocchiò, il cuore colmo di umiltà e riconoscenza, mentre Nut scompariva lentamente, dissolvendosi nel cielo stellato come una melodia che si perde nell’eternità.


Amnet si ritrovò sola nel giardino, ma sola non si sentì mai: ogni albero, ogni fiore, ogni respiro della natura era un frammento di quella connessione divina che ora sapeva di dover custodire.


Decise di trasformare il giardino in un luogo aperto a chiunque avesse il coraggio di intraprendere il proprio viaggio spirituale. Viandanti da ogni angolo del mondo arrivavano, guidati da sogni, visioni o semplici speranze. Amnet li accoglieva, ascoltando le loro storie e conducendoli nel cuore del giardino, dove le loro anime trovavano la guarigione e la pace.


Gli anni passarono, ma la leggenda di Amnet e dei Giardini di Osiride si tramandò come un canto che echeggiava tra le stelle, il deserto e il Nilo. Alcuni raccontavano che la sacerdotessa fosse diventata un’ombra luminosa che vagava nel giardino, benedicendo i pellegrini con il tocco delle sue mani. Altri sostenevano che Osiride stesso, soddisfatto della sua devozione, l’avesse accolta tra gli dèi, lasciandole il compito di vegliare per sempre su quel luogo sacro.


Ma Amnet non cercava la gloria né il mito. La sua vita, intrecciata per sempre con i Giardini di Osiride, era dedicata a ricordare al mondo una verità semplice ma profonda: il vero potere risiede nella purezza del cuore, nella forza del sogno e nella capacità di credere che anche nelle ombre più profonde si nasconde sempre una scintilla di luce.


E così, ogni tramonto e ogni alba sui Giardini di Osiride continuavano a cantare la sua storia, un’eterna promessa che l’equilibrio tra cielo e terra, tra passato e futuro, tra vita e rinascita, poteva essere mantenuto finché ci fosse anche una sola anima pronta a credere nel miracolo del tempo e dell’amore.


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SPECIALE LEGA ARABA

A cura di Roberto Roggero, Patrizia Boi

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