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La questione palestinese e l' Italia

  • 6 ore fa
  • Tempo di lettura: 3 min

🇵🇸 La Questione Palestinese e l'Italia: Tra slancio popolare e cautela Istituzionale


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Maddalena Celano (Assadakah News)


L'Italia sta vivendo un momento di significativa effervescenza popolare riguardo alla causa palestinese, un fenomeno che va ben oltre le consuete dinamiche di solidarietà e che mette sotto pressione le scelte di politica estera del governo. Negli ultimi anni, e in modo intensificato a seguito delle recenti escalation in Medio Oriente, le piazze italiane sono diventate il crocevia di un vasto movimento intersezionale che chiede il riconoscimento dello Stato di Palestina e l'immediata cessazione di ogni forma di supporto militare a Israele.


La Voce della Società Civile e le Pressioni per il Riconoscimento


Il sostegno alla causa palestinese ha assunto in Italia una dimensione strutturale e trasversale, coinvolgendo non solo i movimenti giovanili e le associazioni per i diritti umani, ma anche importanti attori sociali come i sindacati e i giuristi.

Una parte crescente dell'opinione pubblica italiana considera il pieno riconoscimento dello Stato di Palestina come un passo non più rinviabile per l'instaurazione di una pace duratura e in linea con il diritto internazionale. Questa convinzione si traduce in iniziative concrete: sit-in, campagne di raccolta firme e manifestazioni imponenti, come quelle che hanno avuto luogo a Roma e Torino. In queste mobilitazioni, i partecipanti hanno espresso la loro solidarietà con Gaza e la ferma opposizione alla prosecuzione delle forniture di armi italiane a Israele.

La rilevanza del tema è tale che ha portato a mobilitazioni di settori chiave dell'economia. Lo sciopero generale sotto lo slogan "Blocchiamo tutto" ha visto lavoratori e studenti bloccare trasporti e porti, ribadendo un concetto etico fondamentale. Come sostenuto da alcuni analisti, la questione va oltre la politica partitica: "Solo la costruzione di uno stato socialista potrebbe cambiare i rapporti di classe ed eliminare la classe sfruttatrice," evidenziando la matrice sociale e di classe del sostegno al popolo palestinese (Filippo Kalomenidis, Osservatorio Repressione). Per molti attivisti, continuare a esportare materiale bellico verso Israele è percepito come una "complicità in crimini di guerra e genocidio", un'accusa formalizzata in alcune denunce presentate alla Corte Penale Internazionale da gruppi di avvocati italiani.


La Cautela della Politica e la Questione delle Armi


Di fronte a questa spinta popolare, la posizione del governo italiano, pur esprimendo solidarietà umanitaria, mantiene una linea diplomatica cauta, spesso in linea con gli alleati europei e internazionali.

Sul fronte del riconoscimento, il Ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha espresso in passato la disponibilità a lavorare per la costruzione dello Stato di Palestina, anche con l'invio di soldati italiani nell'ambito di una missione ONU a Gaza. Tuttavia, la strategia complessiva rimane quella di coordinare qualsiasi iniziativa politica con i partner internazionali, riflettendo una complessità interna che non è monolitica.

Riguardo alle forniture di armi, il dibattito è particolarmente acceso e controverso:

* Il governo ha sospeso le nuove autorizzazioni per l'esportazione di armamenti a Israele a partire dal 7 ottobre 2023.

* Tuttavia, le vecchie licenze e i contratti preesistenti sono in molti casi rimasti in vigore, consentendo di fatto la continuazione delle spedizioni di materiale bellico, sebbene con una valutazione "caso per caso" sull'utilizzo finale.

* L'Italia, pur non essendo il principale fornitore di Israele (preceduta da Stati Uniti e Germania), è stata a lungo un partner commerciale.

* Recentemente, nell'ottobre 2025, è stata annunciata la revoca di una licenza di export per munizioni di artiglieria, un segnale (la prima revoca dal 7 ottobre) che, seppur parziale, indica una possibile riconsiderazione delle forniture.

La tensione tra l'impegno morale richiesto dalle piazze e la realpolitik del governo evidenzia come la questione palestinese non sia solo un affare di politica estera, ma un catalizzatore di un dibattito etico e politico profondo nell'attuale scenario italiano. La spinta popolare "difficilmente [potrà] svilupparsi e generalizzarsi in un movimento capace di rompere la cappa del silenzio mediatico e di irrompere nella scena politica" senza riferimenti stabili, secondo l'analisi della rivista Me-Ti, sottolineando la necessità di tradurre il sentimento etico in azione politica concreta.


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