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Le filosofie decoloniali e le filosofe islamiche: Pluralità, agency e contesti

  • 10 ore fa
  • Tempo di lettura: 4 min



Introduzione


Il dibattito contemporaneo sull’emancipazione femminile è spesso caratterizzato da semplificazioni che riducono le donne a simboli di un ideale politico o religioso.

Da un lato, la narrativa occidentale tende a immaginare la liberazione femminile come imitazione dei modelli maschili;

dall’altro, approcci essenzialisti o religiosi ne confinano la funzione a ruoli predeterminati, legati a una presunta “vocazione naturale”.

Entrambe le prospettive ignorano la complessità dei contesti storici, culturali e materiali in cui le donne vivono e agiscono.

Il pensiero femminile decoloniale e il "femminismo" (uso le virgolette perché non tutte le intellettuali lo definirebbero tale, essendo ancorato ad una dimensione religiosa) islamico decoloniale offrono strumenti teorici per affrontare questa complessità, valorizzando l’autodeterminazione femminile, l’accesso ai diritti e la libertà di scelta, senza imporre modelli universali.


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Il pensiero femminile decoloniale


Autrici come Chandra Talpade Mohanty e Silvia Federici hanno sottolineato da tempo che l’emancipazione non può essere ridotta a un unico modello liberale occidentale. Mohanty scrive:


“Le donne del Terzo Mondo non sono un blocco omogeneo. Trattarle come tale significa perpetuare il colonialismo epistemico. L’emancipazione deve considerare le condizioni materiali, economiche e culturali in cui le donne vivono”


(Under Western Eyes, 1984, p. 351).

Federici, invece, evidenzia l’importanza della materialità:


“La liberazione delle donne non è un fatto spirituale o simbolico, ma un processo materiale che coinvolge il controllo delle risorse e l’autonomia sul corpo. Senza accesso al reddito, al lavoro e all’istruzione, ogni retorica sulla libertà rimane teorica e inefficace” (Caliban and the Witch, 2004, p. 46).


Queste riflessioni pongono le basi per comprendere la pluralità dei percorsi femministi e rifiutare schemi rigidi o deterministici.





Il "femminismo" islamico decoloniale


Il "femminismo" islamico decoloniale nasce in contesti religiosi e culturali specifici, ma condivide con il femminismo decoloniale la centralità dell’autodeterminazione e della libertà di scelta. Saba Mahmood analizza l’autonomia femminile all’interno di pratiche religiose, evidenziando che la libertà non coincide necessariamente con i modelli liberali occidentali:


“L’autonomia non è necessariamente l’adesione a modelli liberali occidentali; può essere praticata attraverso forme di devozione religiosa, disciplina e partecipazione comunitaria. La libertà delle donne non coincide con il rifiuto della religione, ma con la possibilità di agire secondo il proprio senso di responsabilità e autorità” (Politics of Piety, 2005, p. 140).


Fatema Mernissi e Leila Ahmed sottolineano come la storia islamica offra spazi di influenza femminile, spesso trascurati:


“Le donne hanno sempre trovato modalità di influenza e autodeterminazione, anche quando i testi e le istituzioni sembravano opporsi. Non si tratta di emancipazione imposta dall’esterno, ma di riaffermazione di spazi esistenti” (The Veil and the Male Elite, 1991, p. 21).


Nel contesto iraniano, autrici come Shahla Haeri e Zahra Rahnavard hanno mostrato come la partecipazione femminile a professioni tecniche e intellettuali sia una forma concreta di agency: Haeri osserva che le donne possono navigare tra pratiche religiose e autonomia professionale senza contraddizione apparente, mentre Rahnavard sottolinea l’importanza dell’istruzione come strumento di emancipazione strutturale[^1][^2].



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L’Iran: contraddizioni e complessità


I dati UNESCO indicano che le donne iraniane sono numerose in settori considerati maschili: ingegneria, medicina, informatica e trasporti pubblici[^3]. Queste presenze dimostrano che l’emancipazione può svilupparsi anche in contesti religiosi complessi.

Al contempo, persistono limitazioni nella vita personale e sessuale delle donne, come l’obbligo del velo, restrizioni alla mobilità privata e regole matrimoniali rigide. Tuttavia, la critica a queste norme richiede una lettura strutturata e storicamente informata: si tratta di fenomeni reali, ma che vanno analizzati nel loro contesto simbolico, politico e sociale, evitando giudizi moralistici o semplificazioni neocoloniali.


Prospettive italiane filogovernative


In Italia, alcune pensatrici contemporanee più filogovernative o conservative, come Lucia Borgonzoni, Alessandra Bocchetti e Claudia Piñero, sottolineano il ruolo della famiglia, della tradizione e della religione come strumenti di coesione sociale[^4][^5][^6]. Pur con approcci diversi, queste posizioni trovano un punto di contatto con il femminismo islamico decoloniale: la centralità dell’agency femminile rimane cruciale, anche se le strategie e i vincoli variano.


Sessualità e autodeterminazione


La questione della sessualità femminile resta complessa. Denunciare la mercificazione e la prostituzione forzata non equivale a imporre un codice moralistico. Federici evidenzia come il capitale trasformi il corpo femminile in risorsa economica, mentre il femminismo islamico decoloniale ricorda che la disciplina personale può essere scelta autonoma, non imposizione esterna. Una donna credente e una donna atea possono esercitare la stessa autodeterminazione senza che l’una debba farsi misura dell’altra.


Libertà, scelta e materialità


L’emancipazione femminile è innanzitutto materiale: istruzione, lavoro, reddito, salute e partecipazione politica sono prerequisiti per la libertà reale. Mohanty ribadisce:


“La sovranità sulle proprie condizioni di vita e sulle proprie risorse è ciò che definisce la vera emancipazione” (Under Western Eyes, 1984, p. 352).


Ogni approccio che pretende di definire chi la donna “deve essere” rischia di riprodurre forme di subordinazione mascherate da protezione o tradizione.

Il femminismo decoloniale e il femminismo islamico decoloniale offrono chiavi interpretative per comprendere la pluralità delle esperienze femminili. Le donne non devono imitare modelli maschili né diventare simboli astratti di battaglie ideologiche. Devono poter scegliere, esercitare la propria autonomia e accedere ai diritti fondamentali.

Riconoscere le differenze di contesto, valorizzare l’agenzia individuale e affrontare le restrizioni reali in maniera scientifica permette di avere una lettura equilibrata, rigorosa e rispettosa della complessità femminile, dall’Occidente al mondo islamico.





NOTE e Bibliografia selezionata


[^1]: Haeri, Shahla. Law of Desire: Temporary Marriage in Shi’i Iran. Syracuse University Press, 1989.


[^2]: Rahnavard, Zahra. Women and Social Development in Iran. Tehran University Press, 2002.


[^3]: UNESCO Institute for Statistics. Women in Science: Facts and Figures, 2023.


[^4]: Borgonzoni, Lucia. Ruolo femminile e società contemporanea. Mondadori, 2020.


[^5]: Bocchetti, Alessandra. Femminilità e istituzioni: prospettive contemporanee. FrancoAngeli, 2021.


[^6]: Piñero, Claudia. Riflessioni sulla donna e la tradizione. Edizioni Cultura Italiana, 2019.


[^7]: Mohanty, Chandra Talpade. Under Western Eyes: Feminist Scholarship and Colonial Discourses. Feminist Review, 1984.


[^8]: Federici, Silvia. Caliban and the Witch: Women, the Body and Primitive Accumulation. Autonomedia, 2004.


[^9]: Mahmood, Saba. Politics of Piety: The Islamic Revival and the Feminist Subject. Princeton University Press, 2005.


[^10]: Mernissi, Fatima. The Veil and the Male Elite: A Feminist Interpretation of Women’s Rights in Islam. Perseus Books, 1991.


[^11]: Ahmed, Leila. Women and Gender in Islam: Historical Roots of a Modern Debate. Yale University Press, 1992.


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