La Siria tra Washington e Pechino: la nuova Damasco sulla via del Mediterraneo
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✍🏻 Wael Al-Mawla (Assadakah News) – Scrittore e giornalista
La Siria entra oggi in una fase di profonda ridefinizione del proprio ruolo regionale e internazionale, mentre gli equilibri di potere globali si trasformano e la competizione strategica sul Medio Oriente si intensifica. Dopo l’annuncio dell’alleanza con Washington e la crescente apertura internazionale verso il governo transitorio, Damasco si muove per costruire una rete di relazioni più equilibrata, non vincolata a un unico asse, ma capace di trarre vantaggio dal confronto tra le grandi potenze.
In questo scenario, la Cina emerge come uno dei pilastri della “nuova Siria”, tanto sul piano politico quanto su quello economico. Pur avendo mantenuto una presenza durante il precedente regime, Pechino non esercitava un’influenza diretta, operando prevalentemente attraverso Mosca o tramite un coordinamento limitato con l’Iran. Oggi, grazie al riconoscimento internazionale del governo transitorio, la Cina può dialogare con Damasco in maniera più autonoma, beneficiando di margini di manovra più ampi.
Pechino aveva in passato aderito alle sanzioni internazionali che limitavano gli investimenti nel Paese. Tuttavia, l’allentamento delle misure e la revoca delle restrizioni nei confronti del presidente transitorio Ahmad Al-Shar’ e del ministro dell’Interno Anas Khattab hanno aperto la strada a un ritorno cinese più deciso, senza entrare in collisione con l’Occidente.
Damasco non considera la Cina come alternativa all’influenza statunitense, bensì come un contrappeso strategico che le garantisce maggiore libertà di movimento. Nell’ambito della Belt and Road Initiative, Pechino guarda alla Siria come al corridoio più breve e funzionale verso il Mediterraneo e l’Europa, potenzialmente più vantaggioso dei percorsi che attraversano la Turchia o il Sinai, a condizione che il Paese consolidi la propria stabilità. Questo corridoio ridurrebbe i tempi di transito a meno di due giorni, un vantaggio significativo per un’economia cinese in competizione globale e in un contesto internazionale caratterizzato da rallentamenti strutturali.
Pechino, tuttavia, procede con cautela. La sua strategia rimane graduale: progetti di dimensioni ridotte ma espandibili, finanziamenti limitati, investimenti calibrati e un approccio diplomatico flessibile. Questa prudenza riflette il realismo cinese, orientato a costruire influenza senza assumere costi politici eccessivi né rischi di sicurezza diretti.
Per Damasco, la Cina rappresenta un partner non solo economico, ma anche politico. Pechino possiede infatti la capacità di contribuire a riequilibrare dossier regionali complessi, come quello israelo-palestinese o quello iraniano, grazie alle sue estese relazioni con Turchia e Israele e al suo ruolo crescente nella diplomazia multilaterale. Inoltre, la Cina ha leve diplomatiche che potrebbero facilitare la distensione tra Ankara e Tel Aviv, con effetti diretti sulla stabilità siriana.
Il dossier più sensibile per Pechino rimane quello del Partito Islamico del Turkestan, considerato una minaccia alla sicurezza nazionale cinese. Questo tema apre la strada a forme di cooperazione securitaria con Damasco che potrebbero segnare una vera svolta nelle relazioni bilaterali.
In questo contesto, la visita del ministro degli Esteri siriano Asaad Al-Shaybani a Pechino assume un valore emblematico: la Siria agisce come partner, non come subordinato. Washington offre copertura politica; la Cina mette sul tavolo potenza economica e accesso a spazi regionali dove l’Occidente è meno presente.
Oggi entrambe le parti intravedono un’opportunità rara: la Cina potrebbe ottenere un corridoio stabile verso il Mediterraneo, mentre la Siria potrebbe assicurarsi un partner affidabile per la ricostruzione, lo sviluppo e la stabilizzazione del Paese. Con il consolidamento del processo politico, questa convergenza potrebbe diventare uno dei pilastri della nuova geografia del Medio Oriente.







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