top of page

Palestina: l' appello degli intellettuali

  • 7 ore fa
  • Tempo di lettura: 3 min
ree


Maddalena Celano (Assadakah News)- Un grido che arriva da scrittori, artisti e giornalisti palestinesi – dalla patria e dalla diaspora – chiede alla stampa internazionale di rompere il silenzio mediatico e documentare le violenze in Cisgiordania e a Gerusalemme.


Negli ultimi mesi, la Cisgiordania e Gerusalemme stanno vivendo un’escalation di violenze che, pur costituendo una delle più gravi crisi umanitarie della regione, rimane in gran parte ai margini dell’attenzione mediatica globale. Di fronte a questa progressiva invisibilizzazione, un gruppo di intellettuali, artisti e giornalisti palestinesi – residenti nei Territori Occupati e nella diaspora – ha diffuso un appello urgente rivolto ai media di tutto il mondo.

Il documento, concepito come un grido collettivo, invita giornalisti, reporter e operatori dell’informazione a dirigersi fisicamente in Palestina o, laddove ciò non fosse possibile, a dedicare spazio, analisi e approfondimenti alle violazioni in corso. L’obiettivo è spezzare il muro di silenzio che copre l’espansione coloniale e gli attacchi quotidiani contro la popolazione civile.


Una campagna sistematica: terre confiscate, ulivi sradicati e insediamenti in espansione


Secondo gli autori dell’appello, ciò che sta avvenendo in Cisgiordania non è una serie di episodi isolati, ma una strategia coerente di espropriazione territoriale e annientamento dell’identità palestinese.


Le dinamiche denunciate includono:

  • Confisca progressiva delle terre agricole

  • Costruzione di nuovi insediamenti e ampliamento di quelli esistenti

  • Attacchi dei coloni contro contadini e civili disarmati

  • Incendi di campi, sradicamento di ulivi centenari e devastazione dei raccolti

L’ulivo, simbolo della cultura e della resistenza palestinese, è descritto dagli intellettuali come “un bersaglio deliberato”, perché rappresenta un legame millenario tra il popolo e la sua terra.


Arresti arbitrari ed esecuzioni sul campo


Parallelamente, la repressione contro la popolazione civile continua ad aumentare. Vengono denunciati:

  • arresti di massa, spesso senza accuse formali;

  • operazioni militari nei villaggi e nei campi profughi;

  • uccisioni extragiudiziali e impiego della forza letale contro persone disarmate.

Si tratta, sottolineano gli autori, di pratiche che configurano una sistematica violazione del diritto internazionale umanitario e dei più elementari diritti umani.


Un attacco alla storia e al patrimonio culturale


Non vengono risparmiati nemmeno i luoghi religiosi e storici: moschee, chiese, santuari, siti archeologici e archivi vengono progressivamente danneggiati, profanati o isolati dai territori palestinesi circostanti.

L’obiettivo, si sostiene, è cancellare la memoria storica palestinese per ridefinire l’identità della regione in modo unilaterale. Per gli intellettuali firmatari, ciò costituisce un crimine contro il patrimonio culturale dell’intera umanità.


“Non è solo un attacco contro i palestinesi, è una minaccia alla coscienza del mondo”


Il cuore dell’appello insiste sulla dimensione universale della tragedia in corso.


Secondo i promotori, ciò che avviene:

  • supera i confini politici;

  • tocca la responsabilità morale dell’intera comunità internazionale;

  • riguarda il futuro dei diritti umani come principio globale.

La distruzione delle comunità palestinesi e della loro storia non è presentata come una questione regionale o identitaria, ma come un monito sul rischio di un collasso della coscienza collettiva del mondo.


Un invito ai media: “Non siate spettatori, siate testimoni”


Il messaggio agli operatori dell’informazione è diretto e inequivocabile:

  • Andate in Palestina.

  • Documentate.

  • Mostrate ciò che accade nelle strade della Cisgiordania e nei vicoli di Gerusalemme.

  • Raccontate la vita quotidiana sotto attacchi continui, privazioni e paura.

L’appello sottolinea che la presenza fisica dei giornalisti può salvare vite, perché la “luce della verità” spesso rappresenta l’unica forma immediata di protezione per una popolazione vulnerabile.

Gli intellettuali palestinesi ricordano inoltre che la narrazione internazionale non può essere monopolizzata dai soli media locali o arabi: serve la voce autorevole, pluralista e indipendente dei giornalisti europei, latinoamericani, africani, asiatici e statunitensi.


Un atto professionale, ma soprattutto etico


Il testo, pur riconoscendo le difficoltà logistiche, politiche e di sicurezza nell’accedere ai territori occupati, definisce il lavoro giornalistico non come una semplice professione, ma come un atto di responsabilità morale.

Informare diventa una forma di protezione: ogni reportage, ogni testimonianza, ogni articolo sottrae al silenzio un frammento di verità e, con esso, un frammento di vita palestinese.

L’appello degli intellettuali palestinesi è, in definitiva, un invito alla testimonianza come gesto politico e umano.


Chiede alla stampa mondiale di assumere il ruolo che le compete: quello di osservare, raccontare e denunciare.

In un tempo in cui la disinformazione è un’arma e il silenzio può diventare complicità, il giornalismo – quello vero, libero, umano – resta una delle poche difese rimaste per un popolo che lotta per la propria esistenza, la propria storia e la propria verità.


Commenti


bottom of page