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Libano - Il dramma dei rifugiati palestinesi senza documenti

  • 14 lug
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 15 lug

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Issam Al-Halabi - Negli angoli nascosti dei campi profughi palestinesi in Libano, migliaia di individui vivono senza alcun riconoscimento legale della loro esistenza, privati dei più basilari diritti garantiti dalle leggi e dalle convenzioni internazionali. Nessun documento d'identità, nessun certificato di nascita o di morte, nemmeno una prova del loro soggiorno legale in un Paese dove risiedono da oltre mezzo secolo. Questi sono i “senza documenti” tra i rifugiati palestinesi: una categoria emarginata che vive al di fuori del sistema, dello Stato e della memoria ufficiale.

Dalla rivoluzione all’oblio

La storia di questi individui inizia nel 1968, quando un gran numero di palestinesi provenienti dalla Cisgiordania e dalla Striscia di Gaza entrò in Libano, unendosi allora alle fazioni dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina nell’ambito della lotta nazionale. Giunti senza documenti ufficiali – essendo in esilio forzato o coinvolti nell’attività politica e militante – la loro presenza fu considerata temporanea. Tuttavia, la guerra civile libanese, l’invasione israeliana e i cambiamenti regionali trasformarono quella temporaneità in una permanenza priva di riconoscimento legale. Non sono statiregistrati dallo Stato libanese, né dall’UNRWA, e non possiedono alcun documento del loro Paese d’origine. Oggi, dopo oltre cinque decenni, si è arrivati alla quarta generazione di questi individui, il cui numero è stimato intorno a 2500 persone, distribuite tra i campi e gli insediamenti di Sidone, Beirut, Tiro, Beqaa e Tripoli.

Totale provazione dei diritti

Chi è senza documenti vive in condizioni di totale esclusione. Nessun matrimonio ufficiale, non è possibile registrare legalmente i matrimoni, e stesso discorso per la nascita dei figli. Nessuna istruzione, impossibilità di iscriversi nelle scuole pubbliche libanesi e spesso rifiuto anche per le scuole dell’UNRWA per mancanza di numero di registrazione. Vengono accettati nella scuola primaria, ma i problemi emergono a partire dalla scuola media. Nessun lavoro legale: non possono ottenere permessi di lavoro e sopravvivono svolgendo lavori marginali e precari. Nessuna possibilità di spostamento: non possono attraversare posti di blocco, viaggiare o ottenere alcun documento che attesti la loro identità.

Dice "S.A." (42 anni), appartenente alla seconda generazione dei senza documenti: "Sono nato nel campo di Shatila. Non ho alcuna prova del mio nome, nemmeno una carta d’identità interna. Non ho potuto sposarmi legalmente, né registrare i miei figli. Non posso entrare in ospedale. Tutta la mia vita è orale, non documentabile."

Realtà legale, UNRWA e comunità internazionale

La questione dei senza documenti non è una responsabilità individuale o delle fazioni politiche. La prima responsabilità ricade sullo Stato libanese, che ospita i rifugiati ma finora non ha definito un quadro legale per riconoscere queste persone e garantirne i diritti minimi. Anche l’UNRWA, ente internazionale incaricato della protezione dei rifugiati palestinesi, li esclude dai suoi servizi principali perché privi di numero di registrazione ufficiale (RQ). Inoltre, la comunità internazionale, pur proclamando il suo impegno per i diritti umani, non ha esercitato pressioni sufficienti né sul governo libanese né sull’UNRWA per trovare una soluzione legale e umanitaria per questa categoria, nonostante la chiara violazione dei loro diritti fondamentali.

Il ruolo dell’OLP è una rappresentanza che non esclude la responsabilità morale e politica. È vero che l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina non è un ente legale di registrazione e non ha l’autorità per rilasciare documenti ufficiali, ma resta comunque il rappresentante legittimo e unico del popolo palestinese, compresi questi dimenticati. Ha il dovere morale di porre la questione sul tavolo delle pressioni politiche e di agire in tre direzioni: fare pressione sullo Stato libanese affinché definisca un quadro legale che riconosca queste persone come categoria umanitaria specifica; dialogare con l’UNRWA per estendere i criteri di registrazione e i servizi a chi soddisfa i requisiti dello status di rifugiato; collaborare con organizzazioni umanitarie e internazionali affinché le Nazioni Unite creino un meccanismo speciale per proteggere questi individui o, almeno, rilascino un documento temporaneo che consenta loro una vita dignitosa, senza compromettere il principio del rifiuto al reinsediamento e il diritto al ritorno.

Proposte realistiche per una soluzione

Giuristi e attivisti propongono soluzioni legali che possano costituire una via d’uscita per questa tragedia: rilascio di un permesso di soggiorno umanitario speciale da parte dello Stato libanese, con garanzia politica dell’OLP, che consenta al titolare di spostarsi, lavorare e studiare; revisione temporanea dei criteri di registrazione dell’UNRWA per includere i figli di questa categoria, basandosi su prove sociali e testimonianze documentate; lancio di un’iniziativa congiunta palestinese-libanese, sotto supervisione internazionale, per documentare questa popolazione e conferirle uno status legale transitorio.

La dignità non può più aspettare

I senza documenti non chiedono altro che il diritto a una vita dignitosa. Non reclamano la cittadinanza libanese, né cercano il reinsediamento: vogliono solo il riconoscimento della loro umanità, la possibilità di sposarsi, registrare i propri figli, lavorare, studiare e ricevere cure mediche.

L’identità non è solo un pezzo di carta, ma oggi rappresenta la chiave per ogni aspetto della vita. Negare la "personalità giuridica" a migliaia di palestinesi in Libano è una violazione palese dei diritti umani che non può essere giustificata da alcun pretesto.

È giunto il momento di porre fine a questa ingiustizia? Si muoveranno finalmente le autorità competenti, Stato, UNRWA, comunità internazionale e OLP, prima che la quarta generazione venga sepolta come è nata: sconosciuta, silenziosa, invisibile?

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