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Roma - 110 anni dopo il Genocidio Armeno tra bellezza e ricordo

Aggiornamento: 1 ora fa

Assadakah News - Si è svolto a Roma, il 9 maggio, in occasione del 110° anniversario del Genocidio Armeno, un omaggio alla memoria nella luce della bellezza.

In una capitale, ancora attraversata dal respiro della storia, nella sobria eleganza dell’Aula Magna della Facoltà Teologica Valdese, si è tenuta una serata dal valore profondo e universale: la commemorazione del 110° anniversario del Genocidio Armeno, promossa da Assoarmeni RomaLazio con il patrocinio dell’Ambasciata della Repubblica d’Armenia in Italia.

Un evento non celebrativo, ma commemorativo nel senso più alto del termine, perché ha saputo coniugare memoria e futuro, dolore e resistenza, attraverso le voci dell’arte, della parola e della musica.

L'appuntamento è iniziato con una mostra di artisti armeni: il dolore è diventato bellezza.

La prima parte dell’evento è stata infatti dedicata alla mostra d’arte collettiva, un’esposizione straordinaria che ha raccolto opere di pittura, ceramica e scultura di artisti armeni di ieri e di oggi: Gerard Orakian, Nwarth Zarian, Teresa Sargsyan, Grigor Machanents, Anastasia Chaikovskaia, Endza (Gevorg Babakhanyan), Laura Pogosyan ed Elisabetta Mokhtariants.

opere della giovane Mokhtarians
opere della giovane Mokhtarians

Non si è trattato di una semplice esposizione, ma di un dialogo intergenerazionale tra linguaggi e sensibilità

Gerard Orakian e Nward Zarian, con il loro segno forte e strutturato, hanno evocato i frammenti di una memo ria spezzata.

Nwarth Zarian è considerata una delle scultrici contemporanee più importanti della diaspora armena. Lei e Orakian non si esponevano dagli anni della loro scomparsa, rispettivamente nel 2005 a Santa Marinella e nel 1963 a Roma.

Zarian è stata una scultrice armena e italiana, figlia dello scrittore Kostan Zarian e della pianista concertista Rachel Shahnazaryan, nonché sorella dell’architetto Armen Zarian. È sepolta nella tomba di famiglia del marito, Mario Cimara, al Cimitero del Verano di Roma.

Si è diplomata al Liceo Artistico di Venezia e all'Accademia di Belle Arti di Roma.

Zarian ha partecipato attivamente alla scena artistica europea sin da giovane, seguendo i genitori nei circoli artistici di tutta Europa. Ha preso parte a mostre di rilievo, inclusa la Biennale di Venezia, ed è stata coinvolta nel movimento della resistenza italiana durante la Seconda Guerra Mondiale.

Ha tenuto mostre personali in numerose città europee, tra cui Copenaghen, Roma, Vienna, Oslo. Nel 1964 è stata inaugurata a Yerevan una sua mostra personale, in occasione della quale ha donato 25 opere alla Galleria Nazionale d’Armenia. Una seconda esposizione a Yerevan ha avuto luogo nel 1970. Nel 1959 e nel 1972 ha avuto esposizioni personali presso la galleria La Cassapanca di Roma. La sua arte è stata anche presentata nell’ambito della VIII Quadriennale di Roma. Il suo lavoro e il suo impegno culturale e politico hanno lasciato un'impronta duratura sia sulla comunità artistica italiana che su quella armena. Le sue opere sono conservate in diverse istituzioni italiane, come la Fondazione Giorgio de Marchis Bonanni d'Ocre Onlus e il Museo d’Arte di Suzzara (Emilia-Romagna).

In Piazzale 2 Ottobre, a Santa Marinella, si trova una sua composizione scultorea Danza dei bambini di città intorno ad un albero secco, realizzata nel 1972 che l’artista ha donato nell'ottobre del 1996 al Comune, dove ha vissuto per tanti anni. In occasione del 40° anniversario dell'alluvione del 2 ottobre 1981, il 2 ottobre 2021 è stata inaugurata una targa commemorativa in omaggio a questa scultura.

Nwarth Zarian
Nwarth Zarian

Gerardo Orakian era invece nato a Costantinopoli nel 1901. Il padre era un medico facoltoso. La sua esuberanza e il suo impegno attivo lo portarono ad essere segnalato come “studente ribelle”. Prima di lasciare la sua terra che lo aveva “bandito”, vide prelevare di notte, durante il genocidio, il padre dalla loro casa nella quale non tornò più. Partì per l’Italia nel 1920. Successivamente si trasferì a Parigi, dove ebbe l’opportunità di conoscere i rappresentanti delle maggiori espressioni figurative europee dell’epoca. Tornato a Roma nel 1925 si iscrisse all’Accademia delle Belle Arti. Privo di tutti i suoi beni, visse di stenti, in una povertà assoluta, appagato solo dalla sua opera che divenne l’unico suo motivo di esistenza. Morì nel 1962 in una stanza dell’Ospedale di Santo Spirito a Roma. La salma dell’esule riposa al cimitero di San Lorenzo. Orakian è considerato un pittore espressionista con influenze metafisiche. La sua arte è intrisa di "armenità". Esprime, con i suoi dipinti, la memoria del genocidio e la nostalgia per la patria perduta. I suoi soggetti spesso raffigurano volti stilizzati e gruppi umani che evocano il dolore collettivo. La sua pittura è stata paragonata a quella di Arshile Gorky per l'intensità emotiva e la ricerca di una voce artistica autentica. Raramente, sia per mancanza di risorse che per una certa riluttanza a mostrare le sue opere, ha esposto al pubblico i suoi quadri.

Mokhtarians, artista poliedrico ha offerto un linguaggio visivo che fonde iconografia religiosa e simbolismo moderno.

Sargsyan e Pogosyan, invece, hanno portato delicatezza e luce nelle loro opere, come se volessero suggerire la possibilità di una guarigione spirituale.

Le forme vibranti di Chaikovskaia hanno offerto al pubblico una dimensione tattile, quasi archetipica.

I dipinti  e il piatto sono di Teresa Sargsyan
I dipinti e il piatto sono di Teresa Sargsyan

Di Gevorg Babakhanyan, noto con lo pseudonimo artistico "Endza", era esposta l'opera "Il ragazzo". I suoi dipinti profondamente autobiografici, spesso sono influenzati dai ricordi dell'infanzia e dalle esperienze personali. Endza descrive ogni pennellata come una preghiera, cercando di trasmettere emozioni autentiche piuttosto che compiacere l'occhio dello spettatore. 

Gevorg Endza Babakhanyan
Gevorg Endza Babakhanyan

Un viaggio tra particolari ritratti e colori, quello che ha espresso Grigor Machanents, del quale era esposta una sua opera. Sia Gevorg Babakhanyan che Grigor Machanents, vivono e lavorano a Echmiadzin.

L’esposizione ha restituito un’identità collettiva ferita ma mai spezzata, dove ogni pennellata diventa testimonianza e ogni frammento racconta ciò che la storia ha cercato di cancellare.

La parte dedicata alla memoria della sopravvissuta Aurora Mardiganian è stata nel segno dell'impegno civile. La presidente dell’Assoarmeni RomaLazio, Anush Torunyan, che ha ricordato il valore della cultura come strumento di testimonianza e resistenza: “Ricordare oggi non è solo un dovere verso il passato, ma un impegno verso il futuro”, ha affermato.

A seguire, Marietta Stepanyan, rappresentante dell’Ambasciata della Repubblica d'Armenia in Italia, ha portato i saluti istituzionali dell'Ambasciatore S. E. Vladimir Karapetyan. Un momento di solennità che da Roma ha idealmente raggiunto Yerevan, il Karabakh, e tutte le comunità armene della diaspora.

A introdurre e presentare la giornalista e traduttrice del libro di Aurora Mardiganian Armenia Violata, Letizia Leonardi, è stata la storica Zara Pogossian, docente all’Università di Firenze e una delle massime esperte di storia armena medievale in Europa.

Il momento letterario della serata è dunque stato affidato alla scrittrice e giornalista Letizia Leonardi che ha ricostruito con sensibilità e rigore la vicenda umana e storica di Aurora Mardiganian, sopravvissuta al genocidio e divenuta simbolo di denuncia internazionale grazie alla sua autobiografia e ai film Ravished Armenia di Oscar Apfel (1919) e Aurora's Sunrise di Inna Sahakyan (2022).

Laura Pogosyan
Laura Pogosyan

Una testimonianza diretta, potente, sconvolgente. Armenia Violata non è un libro come gli altri. "Leggere la storia su un manuale è un conto - ha spiegato Leonardi - Sentirla raccontare da chi l’ha vissuta è un pugno nello stomaco. Altre fonti sul Metz Yeghern il Grande Male, così gli armeni chiamano il genocidio, possono prestarsi a interpretazioni politiche o storiche. Qui invece abbiamo una testimonianza personale, viva, bruciante. Una voce diretta dal cuore dell’abisso

Gerard Orakian
Gerard Orakian

Si è trattato di un intervento intenso, appassionato e sostenuto da fotografie d’archivio e brevi filmati, che ha saputo catalizzare l’attenzione della sala, mostrando come il genocidio non sia solo un evento storico, ma una ferita ancora aperta nella coscienza del mondo.

Nel corso del suo intervento, Letizia Leonardi, ha ricordato anche Ruben Vardanyan, imprenditore, filantropo e attivista, prigioniero politico a Baku dal 2023, arrestato in seguito alla conquista azera del Nagorno-Karabakh. Un richiamo forte e chiaro alla necessità di non abbassare la guardia davanti alle violazioni dei diritti umani che continuano ancora oggi.

A concludere la serata è stato un concerto di musica classica armena, affidato al talento della pianista Natalia Pogosyan e del violinista Alexei Doulov, interpreti raffinati e profondi di un repertorio carico di significati.

Opere di Anastasiia Chaikovskaia
Opere di Anastasiia Chaikovskaia

I brani eseguiti, firmati da Komitas, Khachaturian, Baghdasaryan, Babadjanian e Terteryan, hanno composto un viaggio musicale attraverso l’identità armena, alternando momenti di struggente malinconia a esplosioni di vitalità popolare.

Komitas, il “padre” della musica armena, ha aperto il concerto con le sue melodie raccolte dal canto contadino, trasformate in lirismo universale.

Khachaturian ha portato ritmo e pathos, mentre Terteryan, con le sue sonorità contemporanee, ha chiuso il cerchio, come una voce che arriva fino al presente.

Applauditissima anche la partecipazione straordinaria dei giovanissimi pianisti Artashes Mosikyan e Hayk Julhakyan, allievi della Music School Paronyan di Yerevan e in Italia per Orbetello International Competition, categoria Junior, che hanno donato al pubblico un saggio di straordinaria maturità interpretativa, confermando che la cultura armena ha ancora molto da dire e da donare, anche nelle nuove generazioni. I due giovani musicisti, due giorni dopo, l'11 maggio, hanno vinto al concorso pianistico internazionale di Orbetello. Hayk Julhakyan il Grand prix e l'altro, Artashes Mosikyan, il 2° premio.

Nella luce colorata delle vetrate firmate da Paolo Paschetto, l’Aula Magna della Valdese è diventata, per una sera, una cattedrale laica della memoria, dove arte, musica e parola hanno restituito dignità a un popolo che ha saputo trasformare il dolore in resistenza e la resistenza in bellezza.

Un evento che non si dimenticherà facilmente, perché ha parlato con la lingua universale dell’arte e il tono profondo della verità.

In un’epoca in cui la storia rischia di essere manipolata o dimenticata, serate come questa sono più che necessarie: sono atti di civiltà.

(Foto di Paolo Volpini)



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