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Roma - Conferenza Stampa Ambasciata del Sudan

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Assadakah News - Si è tenuta oggi, 4 novembre, di fronte a un folto pubblico, di addetti e operatori dei media e dell’informazione italiana, internazionale e arabi, la Conferenza Stampa convocata dall’ambasciatore del Sudan in Italia, S.E. Imad Al Merghani Majid Al-Said, presso l’ambasciata del Sudan a Roma, che ha avuto al centro dell’incontro la drammatica situazione nel Darfur settentrionale, in particolare ad Al-Fasher che, dopo oltre 500 giorni di assedio, è stata occupata dai paramilitari ribelli della Rapid Support Force, che si stanno rendendo responsabili di atroci crimini, nel quadro di una vera e propria pulizia etnica.

Una denuncia dei crimini commessi dalle Forze di Supporto Rapido (RSF) in Darfur, Gezira, Kordofan e numerose città, con sostegno di governi esteri.

Prima dell'incontro, l'ambasciata ha proiettato immagini esclusive che documentano l'atrocità di omicidi e torture perpetrati dalle forze ribelli. L’ambasciatore ha affermato che la Lega Araba e i Paesi arabi sostengono il Sudan, ma le organizzazioni internazionali "sono rimaste silenti per oltre 30 mesi di fronte ai massacri di innocenti. Alzo la voce per chiamare a raccolta la coscienza mondiale, le organizzazioni della società civile e i difensori dei diritti umani affinché stiano al fianco del Sudan, vittima delle più violente stragi, e facciano pressione sui Paesi che finanziano il terrorismo per fermare il sostegno ai criminali".

S.E. l’ambasciatore ha quindi rilasciato la seguente dichiarazione: “Signore e signori, stimati ospiti, vi ringrazio per aver partecipato a questa importante conferenza stampa presso l'Ambasciata del Sudan a Roma, la cui importanza sta nel fatto che fa luce sulla questione più importante sulla scena internazionale: la triste vicenda dei nostri cittadini nella città di El-Fasher, a circa 1000 chilometri dalla capitale Khartoum.

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Lo scorso 26 ottobre, la milizia RSF ha lanciato una guerra su vasta scala contro El-Fasher, capitale dello Stato del Darfur settentrionale, dopo un assedio durato 18 mesi, commettendo omicidi di massa basati su etnia, affiliazione, gravi violazioni sistematiche, massacri, atti di genocidio, violazioni del diritto internazionale dei diritti umani, orribili crimini contro l'umanità, attacchi diretti, uso dello stupro di donne e della fame come arma di guerra, saccheggi, sfollamenti, tutte violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani. La milizia RSF dovrebbe essere pienamente responsabile dei suoi crimini, che minano ogni tentativo di raggiungere la pace e la stabilità in Sudan.

La milizia RSF ha ucciso oltre 450 pazienti presso l'ospedale saudita di maternità a nord della città di El-Fasher, tra cui donne incinte e neonati, un atto di violenza scioccante e senza precedenti. Omicidi e assassinii nella città di El-Fasher non sono un'eccezione ai crimini commessi della RSF e della sua alleanza in altre 130 città, paesi e villaggi in tutto il Paese.

La guerra in Sudan non è affatto un conflitto interno, ma piuttosto un'invasione esterna a tutti gli effetti, poiché gli Emirati Arabi Uniti sono un paese straniero che sostiene la milizia RSF con armi, finanziamenti, equipaggiamento militare, basi militari stabilite, aeroporti e mercenari provenienti da oltre 17 paesi stranieri in tutto il mondo. Quindi non è un conflitto interno, ma un'invasione, un'occupazione, un vero e proprio atto di aggressione e neocolonialismo.

La comunità internazionale osserva in silenzio le uccisioni e il genocidio, ma non intraprende alcuna azione per proteggere i civili da assassini e torture. Invitiamo la comunità internazionale, le Nazioni Unite con il Consiglio di Sicurezza, gli Stati e la società civile a intervenire immediatamente e a chiamare le milizie RSF e gli Emirati Arabi Uniti a rispondere dei crimini efferati e documentati.

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Invitiamo i governi, la comunità internazionale e le ONG a comprendere e distinguere correttamente tra Forze Armate Sudanesi (SAF) e Rapid Support Force (RSF). Le SAF rappresentano l'istituzione militare nazionale ufficiale del Sudan dall'indipendenza del 1956, secondo la Costituzione sudanese, mentre le RSF sono una milizia terrorista che, in alleanza con gli Emirati Arabi Uniti e i loro mercenari, cerca di attuare un colpo di stato militare e ricolonizzare il Sudan. Sulla base di questi fatti, SAF e RSF non dovrebbero essere equiparati.

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato le Risoluzioni 2736, 2750, 2772, 2791, 2667 e 2685 per il rispetto della sovranità e dell'integrità del Sudan e la fine del conflitto, in aggiunta alla Risoluzione 1591 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sull'embargo sulle armi in Darfur. Pertanto, la comunità internazionale dovrebbe adottare una posizione decisa per garantire che la milizia RSF rispetti le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per il bene della credibilità del sistema internazionale.

La stessa milizia RSF sta documentando e filmando scene orribili di genocidio e seppellendo vivi cittadini in fosse comuni, ampiamente diffuse sui social media attraverso filmati.

Al Jazeera, BBC, The Guardian e The New York Times, insieme ad altri media internazionali, hanno documentato le immagini più raccapriccianti di uccisioni e torture di civili a El-Fasher.

Il Daily Telegraph ha riportato che pozze di sangue e mucchi di cadaveri nella città di El-Fasher sono visibili nelle immagini satellitari, rivelando un livello di atrocità tale. Quindi, di cosa ha bisogno la comunità internazionale prima di intervenire per proteggere i cittadini da omicidi di massa e genocidi?

La situazione umanitaria è estremamente pericolosa, poiché le milizie RSF hanno assediato i cittadini di El-Fasher per 18 mesi, aggravandosi ulteriormente con l'invasione, con l'uccisione di cittadini in questa deplorevole situazione umanitaria che ha portato a un esodo di massa dalle periferie della città, dove subiscono ulteriori persecuzioni, torture, arresti e cecchini; il numero delle vittime non è ancora stato reso noto, ma si prevede che sarà molto scioccante.

Le RSF hanno distrutto le infrastrutture del Paese, tra cui strade, università, scuole, ospedali, centrali elettriche e tutto il resto, nel giro di due anni. Ciò che è accaduto a El Fasher è difficile da descrivere o esprimere in poche parole, perché ciò che sta accadendo alla nostra gente a El Fasher è incredibile e inaccettabile per i valori celesti o terreni".

Un tema centrale emerso durante gli interventi è stato il commercio di armi, che continua a alimentare il conflitto in Sudan. Marco Tarquinio, europarlamentare, ha invitato a indagare sulla filiera delle armi, sottolineando la responsabilità dell'Europa e dei suoi Stati membri. "Cercate la filiera delle armi e capirete cosa sta accadendo", ha detto, rimarcando l'inerzia della comunità internazionale nella gestione della crisi.

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Nonostante l'embargo dell'Unione Europea sulle armi destinate al Sudan, Francia e Regno Unito continuano ad avere legami economici e politici con le forze in conflitto, inclusi i gruppi che sostengono le Forze di Supporto Rapido (RSF). Secondo Adam "Bosh" Nor Mohamed, attivista della comunità sudanese in Italia, "il Sudan non fa notizia perché è un Paese isolato, dove la comunicazione è interrotta e la violenza diffusa". Ma in questo "l'Italia può e deve avere un ruolo diretto: può fermare il commercio di armi verso il Sudan, aprire corridoi umanitari per i profughi e sostenere gli studenti sudanesi che non riescono più a studiare per la guerra". Anche Lia Quartapelle, deputata del Partito Democratico e già responsabile esteri, ha richiamato l'Italia alle proprie responsabilità: "L'Europa non può voltarsi dall'altra parte davanti a un nuovo genocidio annunciato. L'Italia deve usare la propria voce nei consessi internazionali per chiedere un cessate il fuoco e garantire aiuti umanitari. È in gioco la credibilità della nostra politica estera". Le proposte per l'Italia non mancano. La politica estera italiana dovrebbe concentrarsi non solo sull'emergenza umanitaria, ma anche sull'attivazione di un piano di giustizia internazionale. Graziano Delrio, ex ministro delle Infrastrutture, ha suggerito che la crisi sudanese possa segnare "l'inizio di una nuova consapevolezza" per il governo italiano, che deve affrontare le proprie responsabilità internazionali.

Un appello dal mondo dell'informazione missionaria, raccolto dalla politica: iniziare a parlare di Sudan, e premere sui governi europei, e su quello italiano in primis, per un intervento immediato. L'iniziativa parte da Brando Ricci, giornalista di Nigrizia, e arriva all'indomani della presa di Al Fasher da parte della RSF e la dichiarazione di carestia a Kaduqli, con la violenza non accenna a diminuire nel Paese africano, dilaniato dalla lotta per il potere tra l'esercito regolare e le Rapid Support Forces foraggiate dagli Emirati Arabi, e che tra rifugiati e sfollati mette a rischio l'intera regione, mentre già si parla di "disastro di scala ruandese", con il rischio di un genocidio che potrebbe essere evitato solo con l'attivazione di azioni internazionali urgenti. Nel corso di una conferenza stampa alla Camera, sono emersi numerosi interventi critici verso l'atteggiamento della comunità internazionale, accusata di non aver fatto nulla fin qui per sostenere l'emergenza. Mauro Garofalo, della comunità di Sant'Egidio, ha parlato della crisi come "la più grave in termini numerici", sottolineando che "l'impotenza della comunità internazionale deve finire o diventa colpevolezza". Secondo Garofalo, l'Italia non può ignorare che il Sudan ha un potere di contaminazione per l'intera regione, come dimostrato dai flussi di sfollati in Ciad e in Libia, e deve agire immediatamente con strumenti umanitari. Laura Boldrini, ex presidente della Camera dei deputati, ha espresso preoccupazione per l'approccio del governo italiano verso le crisi africane: "Non possiamo trascurare la situazione in Sudan e in altri Paesi del continente. Il governo italiano sembra non avere una posizione politica chiara sull'Africa: lo stesso Piano Mattei è business, non una politica di solidarietà", ha dichiarato Boldrini, evidenziando la necessità di un intervento più deciso da parte dell'Italia.

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