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Roma - La pace possibile tra Baku e Yerevan

  • 6 ore fa
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Letizia Leonardi (Assadakah News) - Ieri, 22 ottobre, si è svolto a Roma l’evento “La pace è possibile”, promosso dal Festival della Diplomazia, su invito del suo presidente, Giorgio Bartolomucci, e che ha visto la presenza di circa 150 ricercatori e studenti italiani. Moderato da Fabio Sokolovic, consigliere diplomatico del sindaco di Roma, l’incontro ha visto la partecipazione di due protagonisti diplomatici: l’ambasciatore armeno in Italia, Vladimir Karapetyan, e quello azero, Rashad Aslanov.

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L’ambasciatore Karapetyan ha illustrato il lavoro intrapreso dal primo ministro armeno Nikol Pashinyan e dal ministro degli Esteri per la pace nella regione, richiamando in particolare gli accordi di Washington dello scorso agosto. È stato citato un messaggio del primo ministro che aveva affermato: “Insieme al Presidente dell’Azerbaijan, abbiamo riconosciuto la necessità di tracciare un percorso verso un futuro luminoso, non determinato dal conflitto del passato, in conformità con la Carta delle Nazioni Unite e la Dichiarazione di Alma-Ata del 1991. Abbiamo dichiarato che dopo un conflitto che ha causato sofferenze umane indicibili, si sono finalmente create le condizioni affinché i nostri popoli instaurino relazioni di buon vicinato, basate sui principi dell’inviolabilità delle frontiere internazionali e dell’inammissibilità dell’uso della forza per acquisire territori. … Respingiamo e rifiutiamo con decisione qualsiasi tentativo di vendetta, oggi e in futuro".

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In quella sede, l’Ambasciatore ha inoltre sottolineato il ruolo chiave del "transito attraverso l’Armenia", citando i principi di sovranità, integrità territoriale, giurisdizione e uguaglianza che regolerebbero tale meccanismo. Sia Karapetyan che Aslanov hanno riconosciuto un ruolo speciale svolto dal Donald Trump nel processo (secondo la comunicazione dell’Ambasciata armena in Italia). A seguire, è stato aperto un momento di Q&A con studenti e ricercatori.

L’incontro a Roma ha senso solo se collocato nel quadro più ampio delle recenti trasformazioni diplomatiche tra Armenia e Azerbaijan.

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Nel corso del vertice alla Casa Bianca dell'8 agosto 2025, l’Armenia e l’Azerbaijan, sotto l’egida degli Stati Uniti, hanno firmato una dichiarazione congiunta volta a normalizzare le relazioni bilaterali e ad aprire nuove vie di trasporto e comunicazione nella regione del Caucaso del Sud. L’accordo prevede tra l’altro: l’impegno a non usare la forza per acquisire territori e a rispettare l’integrità e la sovranità degli Stati; la creazione di un corridoio di transito che metta in collegamento la parte principale dell’Azerbaigj con la sua enclave di Nakhchivan passando per l’Armenia e il coinvolgimento degli Stati Uniti in un ruolo di mediatore e, nel progetto logistico-infrastrutturale, di operatore.

Tuttavia, gli analisti avvertono che si tratta di un quadro politico preliminare, non di un trattato pienamente vincolante, e che restano sfide importanti.

Negli ultimi giorni vcono conferme concrete dell’avanzamento del processo. L'Azerbaijan ha annunciato di aver sollevato alcune restrizioni sul transito di merci verso l’Armenia, come parte degli accordi di Washington. L’Armenia ha accolto la mossa come un segnale di grande importanza per l’apertura delle comunicazioni regionali, il rafforzamento della fiducia reciproca e l’istituzionalizzazione della pace.

Nonostante gli sviluppi, persiste un clima di fragilità. Tra le principali incognite: Il testo finale e la ratifica dell’accordo di pace restano da definire e approvare; il fatto che il corridoio di transito passa per territori sensibili (la provincia armena di Syunik) e il controllo, la giurisdizione e i termini operativi suscitano dibattito e perplessità. Poi ci sono gli attori esterni (Russia, Iran, Turchia) che osservano e in certi casi contestano l’impostazione dell’accordo e il cambiamento degli equilibri nella regione.

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L’incontro a Roma, coinvolgendo giovani ricercatori e studenti, mostra che il tema della “pace possibile” tra Armenia e Azerbaijan va oltre la diplomazia tra élite ma comprende anche il mondo accademico e formativo in Europa. Per l’Italia e per l’Europa questo significa l’opportunità di inserire la regione del Caucaso del Sud nella rete delle nuove connessioni infrastrutturali eurasiatiche, cosa che potrebbe avere riflessi su logistica, energia e commercio. Non solo, c'è anche la possibilità di sostenere un processo di stabilizzazione che riduca rischi di conflitto e che favorisca modalità di cooperazione alternative al tradizionale dominio russo nella regione. Da non trascurare il fatto che la pace non sia solo “non-guerra”, ma apertura a infrastrutture, trasporti, transito, che aprono scenari di economia e interconnessione, come appunto si è evidenziato nell’incontro romano.

L’incontro romano quindi ha avuto un senso reale. Non è solo economia di immagine. Siamo in un momento in cui si apre una finestra verso una pace che potrebbe diventare qualcosa di stabile, ma che non è ancora consolidata. I passi avanti, trasporti aperti, dichiarazioni congiunte, sono reali. Ma è proprio il “potenziale” che è in evidenza: non la certezza. Come hanno sottolineato gli analisti, senza meccanismi di garanzia, senza attenzione ai diritti delle vittime, senza vera fiducia reciproca, il quadro resta fragile.

Il passato, fatto da decenni di conflitto, distruzione, isolamento sembra che stia diventando uno “sfondo da superare”, e il tradizionale modello di pace sembra stia lasciando spazio a un modello ibrido che prevede infrastrutture, transito, dialogo generazionale, cooperazione economica. Saremo curiosi di vedere se questo “modello” funzionerà davvero o rimarrà un’illusione.

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